RD Congo, il formaggio del Kivu

di claudia

Tra le colline del Congo Orientale infestate di miliziani un drappello di casari porta avanti un’attività preziosa per la popolazione. Sono stati i Padri bianchi, mezzo secolo fa, ad avviare l’attività lattiero-casearia nella rigogliosa provincia del Nord Kivu. Venticinque anni di violenze e di terrore seminati dai gruppi ribelli hanno colpito pesantemente la produzione, ma non arrestata

di Marco Trovato – foto di Tommy Trenchard / Panos / Luz

I dischi bianchi imbustati in sacchetti trasparenti dondolano nelle mani dei venditori di strada. Si trovano ad ogni angolo della città. A centinaia, a migliaia. E ogni giorno vanno a ruba. Sono i formaggi Goma, così chiamati in onore della capitale del Nord Kivu, provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo, centro di smistamento di una prelibatezza alimentare che nasce sulle alture di questa regione, bella e dannata. La popolazione locale ne va fiera. «La nostra terra è tristemente nota per la sanguinosa guerra che da decenni combattono banditi e gruppi ribelli nella contesa per il controllo del commercio illegale dei minerali preziosi», mi dice Paul, trent’anni, metà dei quali trascorsi sulle banchine del porto di Goma a vendere caciotte stagionate. «Ma queste sono le vere gemme del Kivu, ne siamo orgogliosi perché rappresentano l’eccellenza e l’orgoglio del nostro territorio». Sventola in aria come trofei le forme tondeggianti. Attorno a lui, applaude e annuisce la folla di persone in attesa di imbarcarsi sui traghetti del Lago Kivu.

Svizzera d’Africa


Per procurarsi i prelibati formaggi, Paul e i suoi colleghi si recano ogni mese a Masisi, capoluogo dell’omonimo territorio, a una sessantina di chilometri di distanza, dove acquistano la merce direttamente dai casari. Una forma da un chilo e mezzo la pagano l’equivalente di tre dollari. La rivendono al doppio. «Ma per ogni viaggio partono almeno dieci dollari di benzina – precisa Paul –. La pista per raggiungere i produttori è pessima, piena di buche e di fango. In sella alla motocicletta rischio sempre di spezzarmi l’osso del collo». E poi l’area è infestata di miliziani armati di kalashnikov. Che saccheggiano i villaggi e tendono agguati sulle strade. «Sono stato derubato una decina di volte. Ma finora, grazie a Dio, nessuno mi ha rifilato una pallottola in testa». Masisi, 1.651 metri di altitudine, è circondata da verdi colline. I prati rigogliosi si estendono a perdita d’occhio. Il clima è fresco e umido tutto l’anno. L’erba tenera è ideale per i pascoli. Decine di mucche bianche e nere brucano con avidità scampanellando indisturbate. Vacche di razza frisona provenienti dall’Europa. La chiamano “La Svizzera d’Africa”. Un paradiso dove poter produrre latte genuino e gustoso. I pascoli proseguono per centinaia di chilometri sulle alture che si estendono verso nord, lungo i confini di Ruanda e Uganda, si insinuano nel cuore dell’Ituri. Gli allevatori generalmente appartengono a due gruppi etnici a vocazionale pastorale: gli Hema e i cosiddetti Banyarwanda (questi ultimi, di origine ruandese, prevalentemente Tutsi, si stabilirono nel Congo orientale tra il 1959 e il 1962, in seguito a disordini nel loro Paese, come i loro cugini del Sud Kivu conosciuti con il nome di “banyamulenge”). I primi europei a scoprire le enormi potenzialità pastorali della regione furono i missionari arrivati in epoca coloniale, inizialmente dal Belgio poi anche da Francia, Olanda e Italia. Furono loro ad avviare qui l’attività lattiero-casearia.

Successo clamoroso


La creazione delle prime stalle risale alla metà del secolo scorso, ma l’avvio dei caseifici è datato 1975: per opera dei Padri bianchi. Tra una messa e una formazione di catechisti, i missionari trovano il tempo di insegnare agli allevatori locali le tecniche di produzione dei formaggi europei.
Così, che nel cuore del continente africano, in una regione circondata dalla foresta equatoriale, i pastori congolesi cominciarono a produrre camembert, mozzarelle, gouda olandesi (il cacio più consumato dei Paesi Bassi). Il successo fu immediato. I formaggi erano particolarmente apprezzati e richiesti dalle parrocchie, dalle ambasciate e dai ristoranti. A poco a poco, anche la gente comune cominciò a scoprirli e ricercarli. Sulle colline di Masisi sorsero decine di piccoli caseifici artigianali: alcuni di proprietà della diocesi, in gran parte gestiti dai mandriani congolesi che avevano imparato a lavorare e trasformare l’oro bianco usando i pochi mezzi a loro disposizione.
La fama del formaggio di Masisi si sparse per tutta l’Africa centrale. Arrivavano ordini persino da Kampala, Kigali e Bujumbura. L’economia locale decollò, con beneficio per migliaia di congolesi. «Gli affari andavano a gonfie vele», conferma Lambert Sinamenye, la cui famiglia gestisce da 45 anni una fattoria che produce latte e formaggi.

Un lavoratore estrae il liquido in eccesso da un secchio di cagliata presso il suo caseificio

Resistenza eroica


«Poi – ricorda Lambert –, a metà degli anni Novanta iniziò l’inferno. I miliziani hutu, fuggiti dal Ruanda dopo aver perpetrato il genocidio, seminarono violenza e morte in tutta la regione. Razziavano il bestiame, rubavano il frutto del nostro lavoro, violentavano le donne, uccidevano tanti innocenti, trasformando in un inferno questo posto benedetto da Dio». A seminare morte e terrore furono i machete e i kalashnikov di svariate milizie legate a Uganda e Ruanda, ma anche gruppi armati dei Lendu, un gruppo etnico locale tradizionalmente contadino, come gli Hutu, in perenne conflitto coi pastori della regione, per il controllo della terra.
Centinaia di allevatori dovettero fuggire e cercarono rifugio nei campi profughi allestiti nei dintorni di Goma. Solo pochi decisero di restare e mantennero in vita l’attività anche nei momenti più difficili. Anche quando ogni notte le squadracce dei ribelli uscivano dalla boscaglia e si avventavano come avvoltoi sui civili disarmati. La situazione a Masisi rimane tutt’oggi tesa. La zona è infestata di miliziani. La città, nonostante la presenza della missione di pace delle Nazioni Unite, è inaccessibile per gran parte del tempo a causa dei combattimenti. L’incertezza regna sovrana. Molte fattorie sono state abbandonate. La Chiesa ha venduto i suoi possedimenti. Ma pochi, eroici, allevatori congolesi hanno deciso di non mollare. E, malgrado gli enormi problemi di sicurezza, portano avanti l’attività casearia.

Contadino fotografato da un recinto per il bestiame vicino a Lushebere.

André Ndekezi produce ogni settimana una ventina di forme di Goma. Il suo laboratorio è un capanno di legno e lamiere. La lavorazione del latte avviene in una vecchia vasca da bagno. Per filtrare il liquido cremoso usa collant trasformati in colini, acquistati al mercato. Il siero finisce in vecchi catini. La cagliata viene lavorata a mano prima di essere riposta su uno scaffale nella penombra dove resterà a stagionare per almeno tre settimane. «Ci vuole anche un mese e mezzo, se si vuole ottenere un formaggio corposo e dal sapore più marcato – spiega Ndekezi –. Un tempo producevamo anche formaggi più sofisticati, come il camembert francese e la mozzarella italiana, o anche yogurt e burro. Oggi dobbiamo arrangiarci, non è facile lavorare in questa situazione». L’elettricità a Masisi è assente per intere giornate, talvolta settimane. Impossibile pastorizzare e mantenere il latte fresco. «Trasformarlo in formaggio è la sola possibilità che abbiamo per conservarlo e commercializzarlo. Altrimenti butteremmo all’aria il nostro capitale».


A Goma si vende latte fresco proveniente dal confinante Ruanda, dove la corrente non manca. Non quello congolese. I formaggi invece sono rigorosamente di Masisi. «Riusciamo a malapena a sopravvivere, ma l’importante è non arrendersi allo sconforto – sottolinea Ndekezi –. Il nostro formaggio regala momenti di piacere e sfama migliaia di persone. Contadini e minatori della zona si sfamano grazie a noi. Teniamo accesa la luce della speranza. E quando il terrore sarà finito, torneremo a fare grandi affari».

Questo articolo è uscito sul numero 3/2021 della rivista. Per acquistare una copia. clicca qui, o visita l’e-shop

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