Nel corso del suo pontificato, Papa Francesco, morto oggi all’età di 88 anni, ha riservato un’attenzione costante e profonda all’Africa, un continente spesso marginalizzato nel dibattito globale, ma al centro del suo magistero pastorale. Attraverso i suoi viaggi apostolici, i suoi gesti simbolici e le sue parole forti, il Pontefice ha voluto restituire dignità a popoli feriti da conflitti, ingiustizie e povertà, ma ricchi di fede, cultura e umanità.
La geografia della speranza
Il primo grande abbraccio all’Africa avviene nel novembre 2015, quando Francesco visita tre Paesi emblematici: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. Quest’ultima, in particolare, è teatro di un gesto che rimarrà nella storia del pontificato: l’apertura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia nella cattedrale di Bangui, in anticipo sull’apertura ufficiale a Roma. Un gesto carico di significato, compiuto in un Paese segnato da violenze interreligiose, per ribadire che anche nelle periferie più sofferenti la misericordia può fiorire come risposta all’odio.
Nel marzo 2019, il Papa si reca in Marocco, su invito di re Mohammed VI. In un contesto a maggioranza musulmana, Francesco sottolinea l’importanza del dialogo interreligioso e della libertà religiosa. L’incontro tra le due figure religiose – il capo della Chiesa cattolica e il “Comandante dei credenti” – rappresenta un momento di alto valore simbolico. Il Pontefice ribadisce che la fede “non può mai essere imposta con la forza” e lancia un forte appello per la tutela dei migranti, spesso in transito proprio dal Nord Africa: “Non si tratta solo di numeri, ma di volti, storie, sogni e speranze”.
Nel 2017, Papa Francesco si reca anche in Egitto, terra dalle profonde radici cristiane e al centro di delicati equilibri geopolitici. A Il Cairo, partecipa a una conferenza internazionale sulla pace promossa da Al-Azhar, la più alta istituzione dell’Islam sunnita. In quel contesto, il Papa denuncia con forza ogni forma di fondamentalismo, ricordando che “la violenza è la negazione di ogni religione autentica”. Anche qui, la sua presenza diventa segno di prossimità e apertura: un ponte tra fedi diverse in nome della dignità dell’uomo.
Otto anni dopo il primo viaggio, nel febbraio 2023, Francesco torna nell’Africa subsahariana per visitare la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. In Congo, denuncia con forza lo sfruttamento delle risorse naturali da parte di potenze straniere e locali, affermando: “L’Africa non è una miniera da sfruttare o una terra da saccheggiare”. È un monito rivolto non solo ai leader politici e alle multinazionali, ma anche alla coscienza collettiva della comunità internazionale.
In Sud Sudan, Paese martoriato da una lunga guerra civile, il Papa compie un gesto storico e senza precedenti: si reca in visita insieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e al moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, Iain Greenshields. È una testimonianza di ecumenismo concreto, un appello alla riconciliazione e all’unità rivolto a una nazione profondamente divisa. “Siamo qui come pellegrini di pace”, dice, in uno dei passaggi più toccanti del viaggio.
Ma già nel 2019, durante un ritiro spirituale in Vaticano per i leader del Sud Sudan, Francesco aveva compiuto uno dei gesti più forti del suo pontificato: si era inginocchiato davanti al presidente Salva Kiir e ai suoi oppositori Riek Machar e Rebecca Nyandeng de Mabior, baciando i loro piedi. Un gesto disarmante, carico di umiltà e supplica, con cui il Papa implorava la pace: “Vi chiedo con il cuore, restate nella pace. Ve lo chiedo in ginocchio”. Un’immagine potente, che ha fatto il giro del mondo, e che esprime in modo plastico l’essenza del rapporto tra Francesco e l’Africa: una relazione fatta di ascolto, rispetto e amore profondo.

Una voce per le periferie del mondo
Il rapporto speciale di Papa Francesco con l’Africa si inserisce nella sua visione di Chiesa “in uscita”, attenta alle periferie geografiche ed esistenziali. L’Africa non è solo una tappa geografica, ma un luogo simbolico dove si incrociano le grandi contraddizioni del nostro tempo: ricchezza e povertà, fede e violenza, speranza e disperazione.
In numerose occasioni, anche nei suoi interventi pubblici a Roma e nei documenti ufficiali – come nell’enciclica Fratelli tutti – il Papa ha richiamato l’attenzione sulle ingiustizie subite dalle popolazioni africane, spesso ridotte a oggetto di interessi economici e geopolitici. Al contempo, ha sempre sottolineato il contributo unico dell’Africa alla Chiesa universale: una fede viva, una gioventù numerosa e una cultura della comunità che rappresenta un valore per il mondo intero.
Nel pensiero di Francesco, l’Africa è un continente “speranza dell’umanità”, nonostante le sue ferite. In diverse omelie e discorsi, il Pontefice ha più volte insistito sull’urgenza di “liberare l’Africa da logiche coloniali e neocoloniali”, non solo economiche ma anche culturali. Il suo appello è a cambiare prospettiva: non guardare all’Africa con pietismo, ma con rispetto e apertura.
Nel 2022, parlando ai membri delle Pontificie Opere Missionarie, Francesco ha detto: “L’Africa è un continente giovane, pieno di energia e di sogni. Ma è anche un continente ferito, troppo spesso dimenticato. Eppure, Dio non dimentica mai i suoi figli. La Chiesa deve imparare da loro una fede che sa danzare anche nella prova”.
Il Papa ha anche sottolineato come l’Africa sia un laboratorio spirituale per il futuro della cristianità. In un mondo in cui la secolarizzazione avanza, il dinamismo delle comunità africane rappresenta un patrimonio vitale per l’intera Chiesa. “Lì – ha affermato in più occasioni – la fede non è una teoria, ma una forza che accompagna la vita quotidiana”.

Il Pontefice degli Ultimi
Primo Papa non europeo dopo quasi 1.300 anni, Francesco è stato spesso definito “il Pontefice degli Ultimi”. La sua scelta di mettere l’Africa al centro del suo pontificato ne è una dimostrazione concreta. Non si tratta solo di viaggi simbolici, ma di un impegno coerente per ribaltare le gerarchie della visibilità, per dare voce a chi voce non ha.
Le sue parole, pronunciate con fermezza e amore, hanno attraversato deserti, baraccopoli, ospedali e campi profughi, risuonando come un richiamo alla coscienza globale. L’Africa, nel suo magistero, non è una terra da “aiutare dall’alto”, ma una realtà viva, capace di insegnare al mondo la bellezza della solidarietà e della fede vissuta.
