Mozambico | Gli altri al-Shabaab

di Enrico Casale
jihad mozambico

Il Mozambico è la nuova frontiera del jihadismo islamico? Difficile dirlo. Certo è che negli ultimi mesi si sono registrati massacri, decapitazioni, violenze in due città della provincia di Cabo Delgado. Attacchi che segnano anche uno scatto di livello delle azioni militari jihadiste nell’area.

In un video girato nella provincia, che si trova nella regione settentrionale del Paese, si vedono uomini armati che camminano nell’erba alta costeggiando un grande edificio bianco. La maggior parte di essi porta con sé fucili automatici e indossa uniformi dell’esercito mozambicano. In lontananza si ode qualche sparo e qualcuno nel gruppo grida «Allahu Akbar» («Dio è grande».  Le riprese sono state girate il mese scorso con un telefono cellulare a Muidumbe.

Un secondo video, girato poche settimane prima, mostrava un morto – apparentemente un poliziotto – che giaceva in una pozza di sangue. La telecamera si spostava poi per mostrare un altro cadavere, poi un terzo sdraiato sotto un veicolo della polizia, quindi un quarto corpo all’aperto e, infine, una grande pila di armi automatiche in una sorta di deposito di polizia o militare. Il filmato è stato girato a Mocimboa da Praia, cittadina portuale che è stata brevemente e drammaticamente occupata dai militanti il ​​24 marzo. Due giorni dopo, gli stessi militanti hanno occupato brevemente Quissanga, un’altra città importante.

«Ora hanno pistole e veicoli, quindi si muovono facilmente e possono attaccare ampiamente. E stanno usando le uniformi dei soldati. La gente è molto confusa e spaventata», ha dichiarato il vescovo cattolico di Pemba, Luiz Fernando Lisboa.

Questi due assalti militari su larga scala e sofisticati sono la prova di un cambiamento radicale nella strategia per il gruppo conosciuto come al-Shabaab, lo stesso nome della milizia affiliata ad al-Qaeda e che da anni opera in Somalia, sebbene non siano stati provati collegamenti tra i due gruppi.

Fino ad alcuni mesi fa, la milizia mozambicana operava nell’ombra, attaccando villaggi remoti in tutta la provincia, aggredendo le pattuglie dell’esercito su strade isolate, instillando il terrore in molte comunità rurali, costringendo forse 200.000 persone a fuggire dalle loro case. Fino al mese scorso però non c’erano stati attacchi in larga scala a città. Poi la svolta. Due azioni in grande stile e i video rilanciati dai media vicini allo Stato islamico. Lo stesso Isis ha rivendicato la paternità di alcuni attacchi in Mozambico (che ha una popolazione musulmana di circa il 18%. Gli stessi militanti hanno giurato fedeltà a Daesh entrando di fatto nel network mondiale del terrorismo islamico.

Ma il jihadismo è veramente il motore di queste azioni militari? In un video girato quest’anno e fatto circolare su WhatsApp in Mozambico, un leader militante offre una spiegazione molto più sfumata: «Occupiamo [le città] per dimostrare che il governo è ingiusto. Umilia i poveri e dà il profitto ai leader». L’uomo parla dell’Islam e del desiderio di essere governati da «credenti», ma cita anche presunti abusi da parte delle forze armate del Mozambico.

Secondo alcuni osservatori, l’insurrezione in Mozambico non è molto diversa da quella che in Nigeria ha dato vita a Boko Haram. In Africa australe come in Africa occidentale, un gruppo emarginato prende le armi contro il governo centrale sfruttando il malcontento e la frustrazione di un bacino di giovani disoccupati.  Nel nord del Mozambico i livelli di povertà sono elevati e la popolazione vive difficoltà quotidiane.

Su questi interessi locali si innesterebbero interessi internazionali non ben chiari. Al largo delle coste mozambicane sono infatti presenti ricchissimi giacimenti di idrocarburi che fanno gola a diverse potenze straniere. Che anche questi interessi si saldino con la ribellione jihadista?

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