La parola al rapper Tommy Kuti

di claudia

Tommy Kuti, protagonista indiscusso della scena musicale italiana, è nato in Nigeria, ma vive in Italia da quando aveva due anni. Con la sua musica e la sua storia è un esempio per molti giovani, in particolare afroitaliani. «Abbiamo urgenza di raccontarci, troppe volte gli afrodiscendenti non prendono la parola»

di Marco Lussemburgo

Per ricaricarsi e trovare nuova linfa creativa il rapper Tommy Kuti è tornato alle origini: «Questa estate sono stato in Nigeria, adesso sto lavorando a un disco nuovo. Ci saranno le mie radici, sarà un album nuovo ma sempre Afrobeat». Tolulope Olabode Kuti, aka Tommy Kuti, in Italia da quando aveva due anni, mantovano bresciano del lago e poi milanese, è uno dei protagonisti della scena musicale italiana. Da quando venne scoperto da Fabri Fibra nel 2017 non si è più fermato.

Con #Afroitaliano Tommy Kuti è diventato di culto

Il ritornello rappato è quasi un manifesto politico per una generazione di nuovi italiani: «La nostra nazione sta scritta nel cuore». Quanto si senta leader glielo abbiamo chiesto direttamente. La risposta è misurata:

“Molti di questi artisti che stanno emergendo li conosco. Mi sento un precursore. Incido dischi, vado in televisione, mi si riconosce che sono stato il primo a navigare questo universo”.

I giovani afroitaliani che scelgono la musica per esprimersi sono tanti, percentualmente forse di più degli italiani e basta, brutta definizione ma serve per capirsi. «Da qualche anno a questa parte c’è una nuova urgenza nel volersi raccontare. Vale per la musica come per la letteratura».

Tommy Kuti e un libro per riderci su

Tommy Kuti lo ha fatto. Ha scritto pure un libro sulla sua storia, Ci rido sopraCrescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini, pubblicato da Rizzoli. Un libro in cui si racconta cosa voglia dire nascere in Nigeria e vivere da giovane adolescente a Castiglione dello Stiviere, a cavallo tra Mantova e Brescia.
Ora che il suo accento bresciano si è perso per un più internazionale milanese, ma quando si accalora la parlata delle sue seconde origini vien fuori tutta, ha imparato a rispondere a chi gli chiede come in un tormentone, se si sente più africano o più italiano:

“Non ne posso più che tutti me lo chiedano. Sono nato in Nigeria, sono cresciuto in Italia dove abito, mi sono laureato in Gran Bretagna e ho vissuto negli Stati Uniti. È irragionevole pensare di questi tempi che uno come me, con il mio percorso, possa essere incasellato in una sola nazionalità. Ho molte radici, sono figlio di tante culture. Alla fine sono afroitaliano”

Dopo #Afroitaliano è arrivato #Prendiamo la parola, una sorta di rivendicazione della propria identità, nata sull’onda di quello che stava succedndo negli Stati Uniti a seguito della morte di George Floyd. Qualcuno ha detto che era diventato un artista che guardava anche alla politica. Tommy Kuti non si sottrae: “Ogni scelta è fare politica, anche quando riempi il carrello del supermercato. Ho fatto questo video per dire che troppe volte noi afrodiscendenti non ci facciamo sentire perché non usiamo la parola. Io ho deciso di metterci la faccia in questo”.

“C’è l’esigenza di parlare e di essere ascoltati. È come un’urgenza a cui non ci si può sottrarre. Alla fine è come se facessi coming out delle mie idee. Certe cose non sono più imprescindibili, sono queste generazioni che costruiscono il futuro”.

Parole da leader

Incasellare Tommy Kuti come un rapper tra i più noti della scena italiana è decisamente riduttivo. Anche se ha poco più di 30 anni nelle sue parole c’è una maturità non comune. Che lui spiega come un passaggio, certo non un punto di arrivo, dovuto alle tante cose fatte nella sua pur giovane vita. «Le mie esperienze vogliono essere un elemento motivatore per chi deve ancora giocarsela. Bisogna imparare a credere in sé stessi. A scuola nessuno ci insegna a pensare e a vivere poi i nostri pensieri. Anche le maestre non è che abbiano fatto tutto questo sforzo per cercare di spiegare le diversità. E poi in Italia c’è questa abitudine a prendersi delle libertà che non vanno bene. Da noi si parla solo di sbarchi e di criminalità. Non vengono valorizzati i tanti talenti che vengono espressi anche da chi non ha la pelle bianca. E questo è un ulteriore problema».

(Marco Lussemburgo – NuoveRadici.world)

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