Gibuti e il business delle basi straniere

di Enrico Casale
Militari italiani a Gibuti

Addestramento della polizia gibutina da parte dei carabinieri italianiGibuti, ovvero il Paese fortezza. Il piccolo Stato del Corno d’Africa, che si affaccia sulle sponde meridionali del Mar Rosso, sta facendo della posizione strategica la sua ricchezza. Più del petrolio dei suoi vicini arabi. Più del caffè, dell’energia idroelettrica e dei fiori dell’Etiopia. Da anni ormai, il Presidente Ismail Omar Guelleh affitta porzioni del proprio territorio a potenze straniere che vi impiantano basi militari. In origine fu la Francia. Ex potenza coloniale che, dopo l’indipendenza, mantenne sul posto un grande insediamento militare nel quale mantenne (e mantiene) un reparto della Legione straniera. Poi arrivarono gli americani che, nell’ambito della lotta al terrorismo, necessitavano di occupare un punto strategico che permettesse loro di controllare (e in caso di intervenire) l’instabile Somalia, ma anche la Penisola araba. Poi, ancora, arrivarono i giapponesi, interessati ad avere una presenza su una delle rotte commerciali più trafficate al mondo.

È di questi giorni la trattativa che Gibuti sta portando avanti con la Cina. Secondo il Presidente Ismail Omar Guelleh, la Cina sarebbe «benvenuta». Da Pechino, dopo varie smentite, è arrivata una mezza conferma da parte del portavoce del ministero degli Esteri che ha commentato: «Il mantenimento della pace e della stabilità regionale è aspirazione comune di Gibuti, della Cina e di altri Paesi». La Cina è ormai potenza mondiale sia in ambito commerciale che militare e, come il Giappone e gli Stati Uniti, ha interessa a mantenere un forte controllo sul Golfo di Aden. Non è un caso che proprio la Cina inviò navi da guerra per contrastare la pirateria nelle calde acque antistanti lo Yemen. La Cina poi è già presente a Gibuti attraverso il finanziamento di importanti progetti infrastrutturali, tra cui la ferrovia verso la vicina Etiopia, porti e aeroporti, il cui valore stimato è superiore a otto miliardi di euro.

Pochi sanno che anche l’Italia ha una piccola base a Gibuti. Si tratta di una base logistica dell’esercito che viene utilizzata con due obiettivi: appoggio per le operazioni contro la pirateria e punto di riferimento per l’addestramento delle forze di sicurezza somale e gibutine da parte dei nostri militari. Il 10 febbraio, con il decreto con il quale il Governo Renzi ha rifinanziato le missioni militari all’estero, sono stati stanziati 21 milioni di euro a favore delle missioni in Somalia e proprio alla base di Gibuti. Tra l’altro, l’accordo sottoscritto nel giugno 2014 tra le forze amate italiane e quelle di Gibuti, prevede anche la consegna al piccolo Paese africano pure sei blindati 4×4 «Puma» e di una decina di obici semoventi M 109L da 155 millimetri prodotti da Oto Melara, dismessi in Italia dopo l’acquisto dei nuovi semoventi Pzh-2000.

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