Gerd, il Sudan non vuole “essere in balia” dell’Etiopia

di Enrico Casale
diga nilo azzurro

Sul dossier della Grande diga del millennio, il Sudan non vuole “essere in balia dell’Etiopia”. Lo ha affermato il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok in un’intervista rilasciata all’emittente statunitense Cnn e rilanciata dai media locali. Secondo il premier lo sbarramento sul Nilo Azzurro porterebbe portare molti vantaggi ai tre Paesi rivieraschi ma, a suo parere, è necessario “un accordo vincolante per concretizzare questi benefici e consentire ai Paesi a valle di utilizzare l’acqua rilasciata dalla diga”.

“Senza quell’accordo, saremo sempre in balia dell’Etiopia che può aprire le saracinesche della diga oggi e chiuderle domani – ha continuato il primo ministro -. Per questo chiediamo un accordo vincolante che rispetti le norme del diritto internazionale”.

L’Etiopia si è detta determinata a effettuare unilateralmente il secondo riempimento del bacino a partire dal prossimo luglio e senza un accordo con i Paesi a valle. Si rifiuta inoltre di firmare un accordo vincolante. Addis Abeba ha proposto di formare un team tecnico congiunto per lo scambio di dati e il coordinamento tra i tre Paesi durante il riempimento. Sudan ed Egitto, i due Paesi a valle, hanno rifiutato l’offerta dicendo che lo scambio di dati dovrebbe far parte dell’accordo vincolante.

Hamdok ha inoltre sottolineato che l’appello del Sudan a una mediazione quadripartita non significa rifiutare il ruolo dell’Unione africana: “Siamo i primi a proporre la soluzione africana ai problemi africani. L’Ua è la nostra prima istituzione e la rispettiamo”. Khartoum propone però di affiancare all’Ua anche Unione europea, Stati Uniti e Nazioni Unite.

L’Etiopia rifiuta la mediazione a quattro e loda costantemente il ruolo svolto dal Sudafrica lo scorso anno e durante l’incontro di Kinshasa ha chiesto di coinvolgere Pretoria in eventuali futuri colloqui sulla Gerd.

La diga, in fase di ultimazione, è una enorme struttura che dovrebbe garantire all’Etiopia quelle risorse energetiche necessarie al proprio sviluppo e, attraverso l’esportazione di corrente elettrica, anche preziosa valuta estera. Sudan ed Egitto, che dipendono dai flussi idrici del Nilo, sono però preoccupati. Temono che lo sbarramento riduca i flussi di acqua loro necessari per dissetare la popolazione e alimentare le proprie aziende. Al momento però entrambe hanno escluso un intervento militare per far valere le loro ragioni.

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