Elezioni 2022, dall’Angola al Kenya passando per la Libia

di claudia
elezioni in togo

Nel 2022 si voterà in venti Paesi africani. Una sfida che interesserà Paesi chiave come l’Angola, il secondo produttore africano di petrolio; il Kenya, nazione chiave dell’Africa orientale; il Mali, che dovrebbe tornare alle urne dopo due golpe; il Senegal, nel quale si terrà un voto per le amministrative viste dagli analisti come un test per le presidenziali del 2024; la Libia, ma qui i dubbi restano, dopo un decennio di instabilità. Le urne apriranno anche per consultazioni locali in molti Paesi più piccoli dimostrando che, nonostante i recenti disordini, altrove nel continente prosegue la spinta democratica. Secondo un’analisi Ispi, ad oggi, il 43% degli Stati africani sono considerati democratici secondo gli standard internazionali e solamente tre Paesi (Eritrea, eSwatini e Sud Sudan) non tengono elezioni multipartitiche.

di Enrico Casale

In Angola, le elezioni saranno la prima prova della popolarità del presidente Joao Lourenço. Nominato leader del Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (Mpla) nel 2017, in sostituzione di José Eduardo dos Santos, Lourenço ha lanciato una campagna anti-corruzione e ha varato piani per rendere l’economia nazionale meno dipendente dal petrolio. Bassi prezzi degli idrocarburi e pandemia hanno causato una recessione e la fine dei sussidi per elettricità, acqua e trasporti. L’Mpla affronterà per la prima volta un’opposizione unita. Il Fronte patriottico, guidato da Adalberto Costa Junior dell’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola, si propone come una valida alternativa al partito di potere. Adalberto Costa Junior, ex rappresentante dell’Unione in Portogallo, Italia e Vaticano, ha un’immagine dinamica e di rottura con il passato dell’Unione, partito considerato tradizionalista. Basterà per battere il sistema di potere dell’Mpla consolidato in quasi 40 anni di governo?

Anche in Kenya la battaglia è aperta e i risultati incerti. Il presidente Uhuru Kenyatta è al suo secondo mandato e non potrà ricandidarsi. Non è chiaro chi lo sostituirà. Nel 2018 Kenyatta si è riavvicinato a Raila Odinga, suo ex avversario. L’intesa ha portato a una riforma costituzionale, nota come Building Bridges Initiative (Bbi), che, secondo Kenyatta, avrebbe dovuto diluire la regola del “chi vince prende tutto”, che egli ha sempre considerato essere la causa dei conflitti post-elettorali. Nel maggio 2021 una sentenza dell’Alta corte ha però dichiarato illegale la riforma. La sentenza è piaciuta a William Ruto, il vicepresidente, noto per essersi sempre opposto alle modifiche costituzionali. A suo parere l’Alta corte ha favorito i mwananchi (cittadini comuni), di cui si è fatto araldo, contro Kenyatta e Odinga, espressione delle “dinastie” politiche keniane. Tra Ruto e Odinga ora la sfida è aperta.

In Senegal si voterà per rinnovare le amministrazioni comunali. Queste elezioni locali, come segnala il periodico Jeune Afrique, saranno un banco di prova per il presidente Macky Sall perché si tratta del primo voto dalla sua rielezione (2019) e cadono a metà del suo secondo mandato. Particolarmente dura sarà la battaglia per la conquista di Dakar. Attualmente in mano all’opposizione, la capitale è ambita e la maggioranza la intende far sua grazie alla candidatura del ministro della Salute, Abdoulaye Diouf Sarr.

In Mali le elezioni dovrebbero segnare il ritorno al governo civile dopo i golpe del 2020 e del 2021. Dopo il primo colpo di Stato, gli autori avevano dichiarato che avrebbero indetto le elezioni nel 2022. Dopo il secondo, la nuova giunta ha confermato l’appuntamento. La situazione nel Paese è delicata. Secondo i dati delle Nazioni Unite, dal 2015 al 2020 gli attacchi violenti in Mali, Niger e Burkina Faso sono aumentati di otto volte. Ciò ha allontanato due milioni di persone dalle loro case e lasciato porzioni di territorio fuori dal controllo del governo rendendo difficile un voto trasparente.

Delicata è anche la situazione in Libia. Il sistema democratico che si sta creando grazie al sostegno della comunità internazionale saprà reggere le tensioni tra i diversi gruppi clanici e a quelle dei Paesi stranieri?

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