È impossibile fare il giornalista nel Sahel

di AFRICA
giornalista africano

di Andrea Spinelli Barrile

Coprire liberamente le molteplici crisi nel Sahel è sempre più difficile per i giornalisti, tanto più da quando i militari hanno preso il potere in alcuni paesi. Lo rivela un documento di Reporters sans frontières (Rsf) pubblicato ieri.

La striscia saheliana, che attraversa il continente da ovest a est, rischia di diventare “la più grande zona non informativa dell’Africa”, afferma Rsf in questo cupo rapporto. L’espulsione dei corrispondenti dei quotidiani francesi Le Monde e Libération, avvenuta sabato da parte della giunta militare al potere in Burkina Faso, ha ulteriormente offuscato il quadro. Nel Paese infatti erano già stati sospesi Rfi e France24 e il rapporto di Rsf è stato scritto prima di queste ultime espulsioni.

La stampa locale e internazionale sta affrontando da dieci anni un “costante deterioramento” delle sue condizioni di lavoro nella regione saheliana. Il documento di Rsf copre principalmente Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger, Ciad, ma anche il nord del Benin, che affronta sfide simili agli altri paesi per la sicurezza. Rsf descrive giornalisti intrappolati tra la violenza dei jihadisti e dei gruppi armati da un lato, e le restrizioni, le pressioni, le sospensioni dei media e le espulsioni dei corrispondenti esteri da parte delle autorità dall’altro ed evoca l’effetto negativo giocato dall’arrivo secondo della compagnia di sicurezza privata russa Wagner in Mali, un ulteriore elemento di rischio per i giornalisti secondo Rsf.

“Cinque giornalisti sono stati assassinati e altri sei sono scomparsi tra il 2013 e il 2023” afferma il rapporto, che riporta di circa 120 giornalisti arrestati o detenuti durante questo periodo, di cui 72 nel solo Ciad e riferisce di attacchi da parte di jihadisti e della scomparsa di radio comunitarie, molto ascoltate.

Vaste aree sono diventate inaccessibili ai giornalisti perché troppo pericolose. Le fonti sono “terrorizzate” dalla possibilità di rappresaglie da parte dei gruppi armati, ma anche delle autorità. In Mali, Burkina e Ciad, appena arrivati al vertice del loro Paese, i soldati hanno cercato “di controllare i media attraverso misure di divieto o restrizione, anche attacchi o arresti arbitrari”. Rsf ricorda la sospensione dei media francesi France 24 e Radio France Internationale in Mali e Burkina, con l’espulsione o la partenza forzata dei corrispondenti esteri per mancanza di accreditamento come ulteriore elemento che contribuisce “all’esplosione della disinformazione”.

La pressione esercitata sulla stampa in nome di un “trattamento patriottico” dell’informazione favorisce il “giornalismo agli ordini”, e l’autocensura su temi delicati come Wagner o le perdite inflitte dai jihadisti.

Un allarme simile era stato lanciato lo scorso fine-settimana in Burkina Faso da parte dei giornalisti locali, che chiedono più sostegno al governo e lamentano l’impossibilità di lavorare nelle zone di conflitto, le cui notizie provengono tutte dalla propaganda militare.

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