E anche la Turchia apre la sua base militare in Africa

di Enrico Casale
tank turchi

Ormai è ufficiale. La Turchia aprirà una base militare in Somalia. I lavori sono in dirittura di arrivo e saranno ultimati a settembre. Si estenderà su una superficie di 400 ettari e potrà ospitare un contingente di 1.500 uomini, oltre a numerosi mezzi corazzati. Così, dopo l’apertura a Gibuti delle basi statunitense, francese, cinese, giapponese e italiana, il Corno d’Africa si «arricchisce» di un nuovo attore militare.

Questa struttura è un tassello di una politica ad ampio raggio di Ankara. Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha sempre voluto investire in Somalia. Negli scorsi anni la Turchia non solo ha aperto un’imponente ambasciata, ma a Mogadiscio ha ricostruito l’aeroporto internazionale e ha partecipato alla costruzione del porto. Molti imprenditori edili turchi lavorano alla ricostruzione dei centri somali distrutti da più di vent’anni di guerra civile. E non è un caso se oggi la capitale somala è collegata con voli quotidiani a Istanbul garantiti dalla Turkish Airlines.

Ankara considera la Somalia una nazione strategica. Dal punto di vista commerciale è una base fondamentale sulla rotta che collega il bacino del Mediterraneo ai ricchi mercati asiatici. Dal punto di vista politico, il governo di Mogadiscio è vicino ideologicamente a quello di Erdogan e alla sua visione di un Islam strettamente legato alle dinamiche istituzionali.

La Somalia poi è un Paese turbolento. Dal 1991, anno della caduta del dittatore Siad Barre, vive una feroce guerra civile che se inizialmente si era caratterizzata come un conflitto tra signori della guerra, ora si inserisce nel più vasto contesto delle tensioni legate al fondamentalismo islamico. In Somalia è molto forte la milizia al Shabaab, filiale africana di al Qaeda. Avere una base in Somalia significa per la Turchia poter lavorare al contenimento del fenomeno (col quale si confronta anche in Siria e in Iraq) o, per lo meno, a una gestione dei suoi aspetti più violenti.

Da qui la costruzione di una base militare. Pedina di quel neottomanesimo che Erdogan ha detto, fin dall’inizio della sua presidenza, di voler incarnare.

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