A Roma il racial profiling viaggia sugli autobus

di Stefania Ragusa

La traduzione italiana di racial profiling è profilazione razziale, un’espressione che si riferisce  alle situazioni in cui le forze dell’ordine decidono di procedere al controllo o all’ arresto di una persona per effetto del colore della pelle o di altri particolari che rivelano la sua appartenenza etnica. La profilazione razziale è una pratica razzista, non c’è dubbio. E si scontra con i principi fondamentali della nostra Costituzione. Questo ovviamente non impedisce che sia largamente praticata. A Roma, per esempio, nelle ultime settimane ci sono stati numerosi casi di perquisizioni sui mezzi pubblici rivolti solo ed esclusivamente a persone dalla pelle nera. Ne ha scritto il The Post International in un articolo ben documentato, pochi giorni fa.

A Corriere delle Migrazioni ne ha parlato Anna H., una lettrice nigeriana che abita al Pigneto. «Dall’inizio dell’anno per ben tre volte, mentre ero in tram, gli agenti mi hanno fatto aprire la borsetta per controllarne il contenuto. Non hanno trovato niente e mi hanno lasciata andare. Probabilmente cercavano droga, però controllavano solo gli africani. So che è capitato a molti altri amici, anche mentre erano alla fermata o camminavano per strada».

La notizia del racial profiling capitolino è stata ripresa e ampliata da altri siti. Sulla pagina FB del Laboratorio 53, organizzazione non profit conosciuta per il progetto delle guide invisibili, si leggono varie testimonianze, tra cui quella di Souleymane: «Vivo a Roma da qualche anno e oggi, mentre stavo andando a trovare i miei amici, sono stato fermato dalla polizia vicino la fermata della metro Malatesta. Volevano controllare i miei documenti, lo hanno fatto con molta violenza nei toni, nelle parole, nelle azioni. Per fortuna però non mi hanno fatto troppo male e non sono dovuto andare in ospedale come invece è successo a un mio amico, sempre dopo un controllo dei documenti, nello stesso posto dove è capitato a me oggi. Il mio amico è l’unico a cui l’ho raccontato perché anche lui è africano e sa quello che mi poteva succedere. Ma perché devo essere trattato con questa violenza quando devo mostrare i miei documenti? Qualcuno sa dirmi perché?».

Anche L’Associazione Alter Ego/Fabbrica dei diritti se ne è occupata, raccogliendo varie testimonianze ed elaborando una sorta di prontuario che consenta di definire meglio la situazione ed eventualmente agire in modo pertinente, tenendo conto di ciò che dice la legge. Anche chi assiste a un presunto abuso  tra l’altro può fare qualcosa. Per esempio, fotografare e/o filmare quanto sta accadendo. Secondo una nota del Garante della Privacy infatti riprendere le forze dell’ordine durante lo svolgimento delle loro funzioni è consentito: «I funzionari pubblici e i pubblici ufficiali, compresi i rappresentanti delle forze di polizia impegnati in operazioni di controllo o presenti in manifestazioni o  avvenimenti pubblici, possono essere fotografati e filmati, purché ciò non sia espressamente vietato dall´Autorità pubblica», recita la nota 14755 del 5 giugno 2012.

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