Tutti i Charlie d’Africa

di Marco Trovato

A cinque anni dall’assalto terroristico al giornale satirico francese, i vignettisti continuano a pungere con le loro matite affilate. Anche in Africa. I disegnatori del continente – costretti a convivere con censure e intimidazioni – moltiplicano i loro sforzi per denunciare i soprusi, combattere il fanatismo e raccontare quella verità che rende liberi di osare

Il direttore del giornale francese Charlie Hebdo, Riss (Laurent Sourisseau), nel suo editoriale commemorativo cinque anni dopo l’attentato al settimanale satirico, riflette sui nuovi volti della censura. Afferma che i vecchi divieti sono stati sostituiti da nuovi, le fiamme dell’inferno di ieri hanno lasciato il posto ai tweet di oggi. Lo sviluppo dei social network ha permesso di diffondere opinioni molto diverse, a volte arricchendo, ma a volte boicottando, denunciando, punti di vista atipici, anticonformisti o semplicemente imbarazzanti. Oggi il politicamente corretto ci impone ortografia di genere, ci sconsiglia di usare parole che potrebbero disturbare. Nel nostro interesse, ovviamente. In Occidente dunque il politicamente corretto stabilisce i nuovi confini della libertà di stampa. La censura trova falsi sinonimi per ampliare i suoi spazi e spegnere le voci di coloro che in prima linea non si arrendono. La satira continua ad essere la voce più temuta.

VITALITÀ AFRICANA

Lo slogan “Je suis Charlie” cinque anni fa aveva invaso il mondo ed è stato subito raccolto anche dai disegnatori africani sempre in bilico tra ironia e libertà. Così quello che oggi il direttore Riss chiama “politicamente corretto” per delimitare quello che può essere scritto o disegnato, in Africa già nel 2015 era esplicitamente espresso in autocensura. Lassane Zohoré, Il direttore del settimanale satirico Gbich! della Costa d’Avorio, afferma che la satira si esprime rispettando i limiti. L’autocensura ha un ruolo importante, permette di continuare a lavorare o smettere. Il disegnatore nigeriano Tayo, rifugiato politico in Gran Bretagna, conferma che in Nigeria i vignettisti si autocensurano per evitare la reazione del governo o di individui potenti e influenti. L’Africa non smette di denunciare, disegnare, rischiare per la libertà, quando cominciamo ad ascoltarla?

Cinque anni dopo l’attacco al giornale Charlie Hebdo, la libertà d’espressione e la satira sono diventate ancora più potenti. L’assalto terroristico non ha permesso alle matite di Cabu, Charb, Wolinski, Tignous di continuare a disegnare, ma la punta di migliaia di matite affilate, solidali e irriducibili ha reagito da tutto il mondo. Il simbolo della libertà di espressione ha vinto sulla violenza. Anche l’Africa con le sue voci rischiosamente fuori dal coro ha risposto senza esitazioni. Numerosi i disegni apparsi sul web da tutto il continente, unanime la condanna senza alcuna barriera religiosa. Sono stati proprio i disegnatori musulmani a condannare l’attacco a Charlie Hebdo; Ali Dilem, vignettista algerino, conosce bene i rischi del suo mestiere, eppure reagisce con forza, come molti altri suoi colleghi. Il sudanese Khalid Albaih con la sua vignetta mostra come anche i musulmani sono vittime del terrorismo islamico.

SCUOLA CONGOLESE

La satira politica in Africa ha una storia lunga quanto pericolosa, in un continente dove, in gran parte degli Stati, il livello di analfabetismo è altissimo. La potenza della denuncia di un’ingiustizia con un “semplice” disegno rende la vita di un vignettista legata ad una sottile linea tracciata su un foglio bianco che può delimitare il confine tra la vita e la morte. Il loro coraggio li ha resi eroi nei Paesi dove la libertà di stampa ha un valore accessorio. Proprio da uno di questi Paesi dove il concetto di libertà di stampa è ancora nebuloso appare in rete un invito. Si tratta del Centro Africano della Caricatura della Repubblica democratica del Congo; il suo direttore, Alain Maushabah, creatore del Festival internazionale della caricatura e dell’humour disegnato (KariKaFête), invita i fumettisti di tutto il mondo ad inviare le loro vignette in Congo per creare una mostra itinerante in solidarietà con Charlie Hebdo e combattere l’oscurantismo fanatico.

Il Centro africano della Caricatura è un’organizzazione indipendente di disegnatori e caricaturisti fondato nel 1991, con sede a Kinshasa, e ha collegamenti in tutte le province del Congo. Oggi collaborano con il Centro oltre 475 professionisti congolesi e africani. Si tratta di un centro riconosciuto a livello internazionale e il suo direttore è un raffinato equilibrista sulla sottile linea che divide le minacce dal rischio concreto della prigione, per i disegni pubblicati che superano il confine del “politicamente corretto”. Le minacce in realtà sono state continue, dai tempi del regime di Mobutu ad oggi (Joseph Kabila è restato al potere 18 anni). «La censura qui non ha mai smesso di esistere», afferma Mushabah. «La satira politica, quella che denuncia la corruzione nelle istituzioni, è condannata dai governanti e dai potenti uomini d’affari. Recentemente alcuni nostri disegnatori di Kisangani hanno subito rappresaglie per le loro caricature su politici locali. Molti giornalisti sono in prigione oppure sono costretti a partire. Disegnatori e giornalisti devono indossare la museruola dell’autocensura, se non vogliono correre rischi. Il Centro forma ogni anno una decina di vignettisti. Non è necessario saper leggere per comprendere un’ingiustizia. Anche per questo i disegnatori satirici sono fondamentali per formare la coscienza civile di una nazione».

RIFUGIATI IN FRANCIA

La drammatica situazione dei giornalisti e vignettisti in Congo è confermata da due grandi professionisti, oggi rifugiati politici in Francia: Pat Masioni e Al’Mata, entrambi torturati e imprigionati più volte per i loro disegni finché non sono stati costretti a fuggire.

Artista e disegnatore vignettista pluripremiato, con numerose pubblicazioni al suo attivo, Pat Masioni vive in Francia dal 2002. «Le vignette sono un’arma efficace per difendere la libertà», sostiene Pat. «Anch’io mi sono sentito Charlie. La Francia mi ha dato la possibilità di vivere del mio lavoro di disegnatore. La satira diventa pericolosa quando ridicolizza le azioni dei dittatori e degli estremisti. Il ruolo dei disegnatori è lo stesso dei giornalisti e non c’è differenza tra essere disegnatori in Europa e in Africa. Oggi il pericolo e la censura sono ovunque». Anche Al’Matà considera la Francia la sua seconda patria. Come Masioni, mantiene i contatti con i colleghi in Congo, dove la stampa continua ad avere la museruola e disegnatori e giornalisti sono vittime in prima linea. «Basta fare un passo falso e si è subito schiacciati», afferma Al’Mata. «Dopo essere stato in prigione, ho avuto la fortuna di riuscire a fuggire e oggi sono ancora vivo. Purtroppo la libertà di stampa non esiste ancora nel vocabolario dei dirigenti congolesi. Un piccolo disegno vale molto di più di un lungo discorso, ed è questo che lo rende pericoloso».

A Parigi c’è anche Christophe Ngalle Edimo, sceneggiatore vissuto in Camerun fino a 24 anni, fondatore e presidente dell’associazione “L’Afrique Dessinée” (2001). «Sono in Francia da più di 20 anni, e devo dire che non è proprio la patria della “fraternità”, anzi ho visto la situazione degradarsi. Nelle periferie molti giovani immigrati sono contenti di quello che è successo a Charlie Hebdo; questo dimostra che non sono integrati nella società francese, che in effetti non è egualitaria né fraterna. Io lavoro come educatore nelle scuole per cercare di impedire ai giovani di cadere nella delinquenza o aiutarli a uscirne. E continuo a scrivere storie sull’Africa, anche se sempre di più le mie storie sono ambientate nelle periferie».

SCHIAFFI DA ABIDJAN

Un’altra voce importante che non ha mai abbandonato l’umorismo anche nei momenti più difficili è il giornale satirico Gbich!, nome bizzarro che riproduce il suono onomatopeico di uno schiaffo. Fondato nel 1998, da allora non ha mai smesso di far sorridere i suoi lettori. Il fondatore e direttore Lassane Zohoré è riuscito a conquistare con le vignette del suo giornale uno spazio importante in Costa d’Avorio, nonostante i confini delimitati della libertà di stampa.

«Il reato di libertà di stampa è stato depenalizzato», afferma Zohoré. «Quindi nessuno viene più mandato in prigione per i suoi scritti o i suoi disegni. Ma il Consiglio Nazionale della Stampa, una struttura governativa, vigila sul rispetto dell’etica e della deontologia: in caso di offesa, diffamazione e disinformazione, le sanzioni possono essere la sospensione dell’attività o una multa. Questo è un male necessario. Forse una libertà maggiore ci porterebbe al mattatoio in un Paese che ha avuto e ha enormi problemi. Così la satira si esprime “rispettando” i limiti. L’autocensura ha un ruolo importante, i disegnatori di Gbich! lavorano secondo la loro coscienza; se ritengono che un disegno possa gettare benzina sul fuoco e creare violenza, cercano di tenerne conto. Durante la guerra civile abbiamo scelto di usare le matite per stimolare la riconciliazione piuttosto che combattere i rappresentanti dei partiti. Nella redazione di Gbich! proviamo a svegliare le coscienze con il disegno e l’umorismo. Il vignettista ha il ruolo del giullare del re, critica ridendo e così contribuisce al cambiamento della società… Ma proprio questo lo rende pericoloso».

VIGNETTE SENZA CONFINI

«Nonostante i fatti di Parigi, non credo che l’Europa diventerà mai un pericolo per i disegnatori di satira politica», afferma Tayo Fatunla, nigeriano rifugiato politico in Gran Bretagna. «Io continuo a fare affermazioni audaci con i miei disegni. Coloro che non amano le vignette sono una minoranza e normalmente sono quelli che sono stati ridicolizzati. I fumettisti di Charlie Hebdo non sono morti invano. Hanno contribuito a rendere i fumettisti e i loro disegni più popolari che mai… Dobbiamo sapere come disegnare la linea. Un vignettista è anche un giornalista, e nell’etica del giornalismo la libertà viene con la responsabilità. Sono andato via dalla Nigeria perché non potevo lavorare come avrei voluto. Tutti i contenuti “sensibili” sono sottoposti a censura. Ci sono bravi disegnatori in Nigeria, ma si autocensurano per evitare la reazione del governo o di individui potenti e influenti. Per non avere problemi molti disegnano fumetti, poi con internet inviano disegni di satira politica in Europa per essere pubblicati là dove c’è libertà di espressione. Fanno vignette su Boko Haram e sulla politica inefficiente del governo, e la rete permette loro di essere visti e letti».

(Marisa Paolucci)

 

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