Tra armi e dialogo, il Centrafrica cerca l’uscita dalla crisi

di Valentina Milani
Repubblica centrafricana

Continuano le operazioni militari delle Forze armate centrafricane (Faca) appoggiate dagli alleati russi e ruandesi alla conquista dei territori occupati dai ribelli confluiti nella Coalizione dei patrioti per il cambiamento (Cpc), formatasi a dicembre per ostacolare il processo elettorale in Repubblica Centrafricana. Le ultime notizie dal “fronte” provengono dal sudest, dove i militari hanno ripreso il controllo delle città di Kembé, Dimbi, Poumbolo e Gambo, località che i ribelli dell’Unità per la Pace nella Repubblica Centrafricana (Upc) avrebbero lasciata già giorni prima dell’arrivo delle truppe. L’Upc di Mahamat Ali Darassa, considerato il più potente gruppo ribelle centrafricano, nelle scorse settimane si era impegnato ad abbandonare la lotta della Cpc.

La coalizione ribelle si può considerare ormai sconfitta nell’intento di rovesciare il governo di Bangui ma potrebbe continuare a voler controllare alcune aree del territorio. Di fatto negli ultimo anni, sin dalla caduta del presidente François Bozizé nel 2013, rovesciato dall’alleanza ribelle della Seleka, si stima che il 70% del territorio nazionale sia controllato da gruppi armati. Un’altra milizia di spicco, il gruppo 3R (Retour, Réclamation et Réhabilitation) è stata indebolita dall’uccisione del suo capo, Bi Sidi Soulemane, anche soprannominato Sidiki Abbas, verosimilmente morto nei primi combattimenti della Cpc a dicembre o ai primi di gennaio.

A metà aprile, le Faca e alleati avevano ripreso Kabom, sull’asse settentrionale verso il Ciad, occupata dal 2014 dai ribelli del Movimento Patriottico per la Repubblica Centrafricana (Mpc), anch’esso divenuto nel dicembre membro della Cpc.

Non è noto ad oggi un bilancio complessivo degli scontri tra le forze governative e i ribelli, né delle operazioni di rastrellamento in corso da settimane. Non è noto il numero di morti, feriti o eventuali prigionieri. Quel che sembra verosimile, è che i ribelli, allertati dell’arrivo delle truppe, si nascondano o fuggano temporaneamente, con il rischio di un ritorno se non verranno insediati rappresentanti dell’autorità dello Stato e forze di sicurezza anche nelle località distanti dalla capitale, Bangui.

Giungono invece denunce di violazioni dei diritti umani addossate a militari centrafricani ma anche, e soprattutto, agli alleati russi. Ufficialmente, Mosca ha inviato in Centrafrica 475 istruttori civili che hanno ricevuto l’autorizzazione di operare. Altri 300 istruttori sono arrivati a fine dicembre su richiesta del presidente Faustin Archange Touadera per organizzare la formazione di unità supplementari delle forze armate locali. Sul posto, in molti definiscono tali istruttori “mercenari”, un concetto confermato in un rapporto di un gruppo di lavoro dell’Onu che sta facendo discutere. Accuse di esecuzioni arbitrarie, abusi, furti, sono rivolte ai cosiddetti alleati russi nel loro passaggio nelle varie località. Mentre la Russia nega persino l’esistenza di contractors, Bangui prende le difese dell’alleato e le distanze dal rapporto delle Nazioni Unite, che non cita fonti identificabili. Proprio ieri il sito centrafricano indipendente Corbeau News ha riferito presunte testimonianze di militari centrafricani che avrebbero iniziato a denunciare crimini commessi dagli istruttori russi. Negli ultimi giorni, la stampa locale non ufficiale ha anche citato più volte la presenza di siriani tra i ranghi degli alleati russi.

Intanto, è sempre latitante l’ex presidente François Bozizé, ricercato dalla giustizia con l’accusa di aver fomentato la ribellione. Secondo fonti di InfoAfrica, Bozizé negli ultimi mesi si trovava in territorio ciadiano, a ridosso della frontiera con il Centrafrica. Un’indagine è in corso per far luce sulla creazione della ribellione Cpc, ma anche su possibili legami tra l’ex presidente e gli oppositori Anicet-Georges Dologuélé, Martin Ziguélé e Karim Meckassoua. La candidatura di Bozizé alle elezioni presidenziali era stata respinta a causa di sanzioni imposte dalle Nazioni Unite.

Sul fronte politico, si stanno concludendo le consultazioni nazionali in corso per il più vasto dialogo repubblicano annunciato dal presidente Touadera, rieletto al primo turno in un contesto segnato dalla minaccia della ribellione e da forti riserve dell’opposizione. La coalizione dell’opposizione democratica Cod-2020 rifiuta di partecipare al dialogo, che ritiene non inclusivo né indipendente. La piattaforma si era già ritirata dal processo elettorale, in vista del secondo turno e della ripetizione delle elezioni parlamentari dopo il primo turno del 27 dicembre scorso.

Dal punto di vista umanitario, la situazione è drammaticamente peggiorata dalla fine del 2020. Secondo l’Ufficio di coordinamento delle Nazioni Unite (Ocha), il Paese non ha mai registrato così tanti sfollati interni dal 2014: quasi un centrafricano su tre è sfollato o si è rifugiato nei Paesi vicini. 

(Céline Camoin)

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