Sudan, frustrazione e speranza nella visita del procuratore capo della Cpi nel Paese

di claudia
Karim Khan

Di Tommaso Meo

Frustrazione e speranza. Sono questi i sentimenti contrastanti che emergono dalla visita che il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, ha fatto in Sudan in questi giorni e che si è conclusa ieri. La Corte è chiamata a giudicare, sulla base di una risoluzione delle Nazioni Unite del 2005, i responsabili dei presunti crimini di guerra commessi in Darfur nei primi anni 2000 sotto il deposto presidente Omar al-Bashir, ma i risultati stentano ancora ad arrivare.

L’unico successo presentato da Khan – la cui missione è la terza di un procuratore capo della Cpi in tre anni nel Paese – è il processo a carico del leader della milizia Janjaweed Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman (nome di guerra Ali Kushayb), iniziato a L’Aia ad aprile. Per il momento si tratta dell’unico procedimento in corso per il conflitto costato la vita a 300.000 persone e provocato 2,5 milioni di sfollati.

Durante la sua visita Khan non ha però nascosto le difficoltà e in un discorso video dal Sudan al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è detto frustrato per la mancanza di responsabilità per i crimini in Darfur. “È un imbarazzo, un imbarazzo collettivo che dopo 17 anni dal deferimento del Consiglio di sicurezza ci sia ancora molto da fare”, ha detto. Il procuratore ha anche accusato le autorità di Khartoum di aver fatto un “passo indietro” nella cooperazione con la Cpi negli ultimi mesi, con un riferimento particolare alla giunta militare golpista che guida il Paese da ottobre 2021. Secondo i gruppi per i diritti umani, infatti, molti dei membri dei Janjaweed, intervenuti per conto del governo di al-Bashir in Darfur, sono stati integrati nelle forze paramilitari di supporto rapido, comandate a Mohamed Hamdan Daglo (Hemedti), ora de facto vice leader del Sudan. Questo non avrebbe fatto altro che complicare il lavoro del tribunale internazionale.

Nel frattempo il destino dello stesso al-Bashir stato l’elefante nella stanza per Khan durante la sua visita. L’ex presidente, 78 anni, detenuto a Khartoum dalla sua deposizione nel 2019, è ricercato dalla Cpi da oltre un decennio per accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel Darfur. Anche altri due ex aiutanti sono ricercati dal tribunale dell’Aia per essere accusati di crimini di guerra. Le autorità di Khartoum l’anno scorso avevano aperto all’estradizione a L’Aia dell’ex capo del Paese ma, complice il cambio di regime, alle parole non sono ancora seguite azioni concrete.

L’ex presidente al-Bashir

Il procuratore capo della Cpi, forse preferendo essere realista a proclami altisonanti, non ha messo il futuro di al-Bashir al centro delle sue dichiarazioni durante il suo soggiorno in Sudan, confermando solamente di aver richiesto nuovamente di avere a disposizione l’ex presidente in merito a casi di presunti crimini di guerra del Darfur. Khan ha preferito invece concentrarsi sulle vittime dei crimini commessi tra il 2003 e il 2004, visitando alcuni campi per sfollati interni della regione.

Lo spazio per sperare in una giustizia effettiva tuttavia rimane, almeno a parole. Il procuratore capo ha affermato che le autorità hanno promesso la loro “piena cooperazione” nell’indagine sui crimini di guerra delle atrocità commesse nella regione del Darfur. Khan ha parlato dopo aver incontrato il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan, che ora guida il Paese, e dopo aver visitato i campi in Darfur. “Le parole che ho appena sentito dal presidente del Consiglio sovrano sono molto positive”, ha detto ai giornalisti Khan. “La sfida ora è tradurle in pratica” per garantire giustizia a vittime che aspettano da quasi 20 anni. Questi progressi richiederanno però un rinnovato impegno di cooperazione da parte dell’attuale amministrazione per garantire un accesso per la Cpi alle vittime, ai testimoni e alla documentazione, ha detto Khan. “Sono tornato in Sudan per rafforzare le basi del nostro lavoro comune” ha sintetizzato. 

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