Somalia, il futuro potrebbe essere rosa

di Enrico Casale
Fadumo Dayib

Fadumo DayibÈ una donna determinata come solo le donne africane sanno essere. E infatti non si è mai arresa di fronte alle difficoltà. Neppure adesso che fioccano le minacce di morte. Fadumo Dayib ha annunciato che si candiderà alle elezioni presidenziali che si terranno in Somalia nel 2016 perché vuole diventare il primo capo di Stato donna del suo Paese. Affrontando così una doppia sfida: alla tradizione, che vede la donna somala ai margini della società; e ai fondamentalisti islamici, che relegano le donne al ruolo di spose dei miliziani o a schiave sessuali.

Fadumo ha vissuto in prima persona la tragedia della Somalia contemporanea. Nata in Kenya da una famiglia somala, è rientrata da bambina nel suo Paese, per fuggire di nuovo di fronte all’inasprirsi della guerra civile (iniziata nel 1991). È la Finlandia la sua terra di adozione. È lì che a 14 anni ha imparato a scrivere e a leggere. Ed è lì che ha continuato gli studi fino a ottenere un master in sanità e salute pubblica. Studi che le hanno permesso di affrontare una carriera al servizio dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, dove si è occupata di temi delicati quali le migrazioni forzate, le discriminazioni di genere, la pandemia di Hiv-Aids. Come molti profughi della diaspora non ha però mai cessato di occuparsi della Somalia e, in particolare, delle donne somale. Questo suo impegno è sfociato nell’intenzione di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali.

Oggi Fadumo ha 42 anni e quattro figli, per lei, se mai si terranno le elezioni e se mai verrà eletta, si aprirà un percorso difficilissimo. La Somalia oggi è un Paese in ginocchio. Il Governo federale in carica dal 2012 sopravvive grazie al sostegno internazionale. Le autorità non controllano che piccole porzioni di territorio. Il Somaliland a Nord si è dichiarato indipendente (anche se non ha riconoscimento internazionale) e ha proprie istituzioni. A Nord-Est, la regione del Puntland, pur non dichiarando l’indipendenza, ha assunto un ampio grado di autonomia. Nel Sud il Presidente Sheikh Hassan Mohamud ha autorità sulle principali città, ma l’entroterra rimane in mano ai miliziani fondamentalisti di al Shabaab (legati ad al Qaeda). Il capo dello Stato ha annunciato la volontà di indire elezioni entro il 2016, ma le difficoltà logistiche sono enormi. In questo contesto, la popolazione vive solo grazie alle rimesse (da 1,3 a 2 miliardi di dollari Usa all’anno).

Per la neocandidata la strada è quindi tutta in salita. Oltre alle difficoltà legate al fatto che è donna, dovrà affrontare la complessità clanica che caratterizza la struttura sociale somala. Un’impresa non semplice per chi come lei è vissuta a lungo all’estero. Ma la sua eventuale elezione sarebbe un ottimo segnale per la comunità internazionale. Il segnale che la Somalia vuole davvero voltare pagina.

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