Senegal: meloni per l’Italia

di AFRICA

Produrre meloni in Senegal ed esportarli in Italia. Aiutare una regione agricola africana a crescere economicamente e socialmente. E senza fare concorrenza al prodotto italiano

Quella che poteva sembrare un’impresa impossibile è riuscita alla OP Francescon, il maggior produttore italiano di meloni. Dopo alcune verifiche di fattibilità, la Francescon – quartier generale a Rodigo, nel mantovano – ha individuato in una zona a una trentina di chilometri da Thiès (180 da Dakar) un’area ideale per la produzione di meloni. Siamo in pieno Sahel, il clima è arido. A differenza di altre regioni, però, qui c’è una forte escursione termica tra il giorno e la notte (dai 15 ai 20 gradi), che è l’ideale per far maturare il frutto. «Di giorno – spiega Matteo Zucchi, l’agronomo freelance che segue il progetto per conto della Francescon – c’è il caldo giusto per far maturare il melone e di notte il fresco adatto (mai sotto i 15 gradi). Questo permette alla pianta di riposarsi e di rendere al massimo. La qualità del frutto è ottimale. Un melone senegalese è più pesante del 20 per cento di un melone italiano di pari calibro. Se lo sbalzo termico fosse di soli 5-10 gradi, la pianta sarebbe più stressata e produrrebbe un frutto di qualità decisamente inferiore».

Partenariato

Trovate le condizioni ideali, la Francescon ha incontrato anche il partner ideale. «La società italiana – continua Zucchi – ha stretto un accordo di partenariato con una società senegalese a capitale spagnolo. La Francescon mette a disposizione le mie competenze di agronomo, i materiali e le sementi. Si occupa inoltre della vendita in Italia del prodotto. L’azienda partner mette i terreni e le strutture (magazzini, celle frigo, pozzi, sistemi di irrigazione, ecc.). In sostanza, loro mettono la struttura e noi mettiamo il know-how e il capitale circolante dell’annata».

Oggi l’azienda si estende su una superficie di 171 ettari: in 130 vengono coltivati i meloni (se ne producono 3500 tonnellate) e in 36, la zucca (500 tonnellate). L’azienda è quasi “a ciclo chiuso”. Le piante arrivano da un vivaio e, dopo un’accurata preparazione del terreno, vengono messe a dimora e coperte con “tessuto non tessuto”. Al momento giusto, le piantine vengono scoperte e le api (l’azienda ha una quarantina di arnie) possono impollinare. Dopo una quarantina di giorni, viene fatta la raccolta.

Le stagioni non si accavallano

Ma perché coltivare meloni in Senegal? «La produzione in Senegal – osserva Zucchi – è fatta per ampliare il periodo di commercializzazione e non intende in alcun modo sovrapporsi alla produzione italiana. Qui la stagione inizia a febbraio e termina agli inizi di maggio, quando in Italia non si producono meloni. L’esportazione cessa quando sul mercato italiano arrivano i primi meloni siciliani. Non vogliamo accavallare le produzioni italiana e senegalese perché non conviene e non è etico: né nei confronti dei senegalesi né in quelli degli italiani».

Qualcuno potrebbe imputare alla Francescon la pratica di land grabbing. Zucchi rigetta l’accusa: «Non scherziamo. È vero, in Senegal ci sono aziende che possiedono migliaia di ettari e che escludono le popolazioni locali da risorse agricole e idriche. Noi qui però coltiviamo 150 ettari, un’area non enorme, e con i senegalesi lavoriamo gomito a gomito. Con loro abbiamo instaurato ottimi rapporti. Altro che rubargli la terra!».

Lavoro, salute, istruzione

Zucchi mette in evidenza i benefici ottenuti dalla popolazione locale. Anzitutto il lavoro. In piena stagione l’azienda dà occupazione a quasi 300 dipendenti, 120-130 nella stagione “morta”. A loro è poi garantito un buon reddito. Inoltre, prima di essere impiegati nei campi, ricevono una formazione tecnica. Un capitale che può essere speso in azienda ma, qualora il dipendente volesse andarsene, anche essere messo al servizio di un’altra impresa.

«Nei campi dove coltiviamo i meloni – osserva –, nella stagione delle piogge semino dai 30 ai 50 ettari di miglio. La produzione viene poi distribuita ai villaggi intorno all’azienda. La proprietà è d’accordo, perché questa coltivazione viene fatta quando la produzione dei meloni è ferma, i semi costano pochissimo e i terreni sono fertili perché sono stati concimati per produrre meloni. Allo stesso tempo va a beneficio alle comunità locali, cui viene garantita la sicurezza alimentare. Il miglio è alla base della dieta senegalese: con esso ci fanno pane, minestre, ecc.».

Ogni anno, infine, la Francescon devolve una cifra per un progetto sociale nelle zone vicino all’azienda. È stata donata un’ambulanza, è stato costruito un centro medico e, in questi mesi, si sta costruendo una scuola. «Queste opere sociali servono a far crescere ulteriormente il territorio offrendo sicurezza sanitaria e formazione alla gente del posto – conclude l’agronomo –. Possiamo forse parlare di land grabbing?».

(testo di Enrico Casale – foto di Marco Garofalo)

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