Se il giornalismo (italiano) si dimentica dell’Africa

di Enrico Casale
giornali

Alessio Malvone
logo festival del giornalismoDal 6 al 10 aprile, si è tenuto a Perugia, il Festival del giornalismo, rassegna unica nel suo genere e occasione per riflettere sulla professione e sui media. Come nelle passate edizioni, però, anche quest’anno, il programma prevedeva pochi appuntamenti per riflettere sul continente africano.

Un’occasione persa per l’informazione, soprattutto perché un evento del genere avrebbe potuto essere l’occasione per fare informazione su tutto ciò che non viene raccontato nei media generalisti. Molte sono state le conferenze e i workshop che si sono occupati di immigrazione e terrorismo, ma nessuna ha raccontato dove nasce il fenomeno, perché, quali sono i problemi di quei territori. Così come pochi sono stati gli incontri sui problemi e sulle risorse del continente africano e, perché no?, sul giornalismo africano e sulle possibili collaborazioni con quello europeo. L’evento era cioè perfettamente in linea con la miopia del giornalismo italiano, il quale (in parallelo con la politica) si occupa dei problemi solo quando toccano il proprio territorio.

«Il tema dell’Africa subshariana – spiega Corrado Formigli, conduttore di “Piazza Pulita”, trasmissione di approfondimento de “LA7” – è un grande tema di cui dovrebbero occuparsene di più i programmi televisivi che vanno in onda quotidianamente. Noi facendo un programma che va in onda una volta a settimana dobbiamo fare scelte e i problemi sono essenzialmente di budget». Sulla stessa linea, Marco Damilano, «L’Espresso»: «Siamo in una situazione di budget limitati e le prime a farne le spese sono le notizie dall’estero, si chiudono le sedi di corrispondenza, c’è molta difficoltà a mandare gli inviati e l’Africa è il continente che viene maggiormente dimenticato. Il paradosso: il mondo è più globalizzato, ma noi lo raccontiamo di meno. L’unica soluzione rimasta è il giornalismo freelance». Per Barbara Serra, giornalista di punta di «Al Jazeera», ci tiene però a sottolineare che il fenomeno è prettamente italiano perché i media inglesi a differenza di quelli nostrani, si occupata con continuità di tematiche africane.

La sensazione parlando con giornalisti di rilevanza nazionale e internazionale è che tutti sono consapevoli del fatto che bisognerebbe occuparsi di più di questo continente, ma cercano di passare la palla a qualcun altro, nascondendosi dietro ai problemi economici o di audience. Forse per far comprendere l’immigrazione e il terrorismo sarebbe bene cominciare dal raccontare cosa avviene nei Paesi africani, quali sono i problemi che stanno all’origine di tutto ciò e i media generalisti avrebbero la possibilità di far uscire da una zona d’ombra un continente che, invece, è pieno di luce. Il Festival del giornalismo poteva essere l’occasione per fare tutto ciò e invece è stato solo il riflesso di un certo provincialismo del giornalismo italiano.

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