Sahara: viaggiatori delle dune

di AFRICA
Sahara viaggiatori 02

Se l’instabilità politica e l’insicurezza impediscono da anni di visitare alcune regioni sahariane, molti altri luoghi impregnati di cultura e di fascino attendono di essere scoperti. Non resta che farsi guidare…

Dev’essere il silenzio, che non è quello del mare e nemmeno quello delle alte vette. Devono essere le forme che la geometria e il vento declinano in molteplici varianti, dev’essere la geografia fatta di curve sabbiose, spigoli rocciosi e nuvole imprecise. Devono essere le genti che hanno fatto di quei luoghi di folle bellezza e inattaccabile severità il loro nido elettivo. O forse sono i pozzi, intorno ai quali si sprigiona tutta quell’energia e quel vociare che le sabbie inghiottono o disperdono. Saranno le lune, di leopardiana memoria, placide e grandi come altrove non se ne vedono, o la polvere che segue i passi degli uomini, delle mandrie e delle ruote dei fuori strada. Saranno i nomadi, i loro occhi che tagliano il vuoto e conoscono la sagoma del monte che apparirà dopo giorni di cammino nella tempesta. Saranno le notti intorno al fuoco quando i rigori dell’inverno sahariano vorrebbero indurre a un sonno precoce nel tepore della tenda ma non si può permettere che l’oblio spenga in un istante tanta buia bellezza.

Sarà il tè… si sarà il tè verde, denso e aromatico, che gli uomini del deserto tutti, da est a ovest, ti offrono in bicchierini di vetro sopravvissuti a qualunque tipo di trasporto.

Non solo dune

Nessuna di queste voci fa il Sahara ma tutta la lista, inevitabilmente incompleta, incarna l’anima, lo splendore e la severità di una terra che pur facendo pensare al vuoto è foriera di emozioni inspiegabili che il vuoto tanto narrato produce e conserva. Quale onore e che fatica raccontare un pezzo d’Africa che sfugge per natura, per vastità e per asprezza della materia a qualunque descrizione.

Dagli anni Settanta, quando i viaggiatori europei presero a dirigersi verso il Sahara, quell’altrove geografico ed emotivo è divenuto la meta di innumerevoli viaggi, scaturigine di sogni e progetti nutriti per mesi, e terra di traversate mitiche. Il deserto ha i suoi confini marini su tre lati e certe zone ricoperte di fossili di ricci, diatomee e bianchissime anadara senilis testimoniano del lungo abitare del mare su queste sabbie. Ha le sue regole ineludibili: la vastità indica i confini entro cui spaziare, l’aridità stabilisce il numero di taniche d’acqua da portare, i venti suggeriscono i metri di stoffa da avvolgere sul capo. Gli elementi dettano legge, e il viaggiatore autoctono o straniero può solo obbedire di fronte all’autorevolezza del dire.

Sono le parti di questo elenco disordinato e chissà quante altre, le responsabili della costruzione di un mito che è diventato parte dell’immaginario di molti di noi al punto che deserto di sabbia e Sahara sono diventati una cosa sola, seppure le dune ricoprano una percentuale abbastanza piccola di tutta quella regione che, arginata a nord dalle rive del Mediterraneo, si estende dalla Mauritania all’Egitto senza soluzione di continuità.

Un finto vuoto

Il Sahara è il deserto per eccellenza, ma dicendo Sahara in realtà si osa includere in poche lettere ambienti così diversi che solo vederli con i propri occhi potrebbe convincere uno scettico. Su quella varietà di paesaggi, a smentire l’etimologia della parola che vorrebbe il Sahara (dall’arabo sah’ra, che significa ilvuoto”: un nome citato per la prima volta dallo scrittore Ibn-el-Hakem) abbandonato dagli uomini, una moltitudine di genti ha lasciato tracce di ogni tipo, dai passi delle carovane sulle sabbie subito ricomposti dai venti, ai segni indelebili dipinti o incisi sulle pareti rocciose da chi, come ebbe a dire un grandissimo disegnatore del Novecento, Giancarlo Iliprandi, possedeva un «certo incantesimo tra le dita».

Oggi il Sahara resta un luogo impregnato di credenze, di presenze – i jinn, gli spiritelli delle sabbie – di miti, di risate di nomadi sotto il velo, di fruscii anche quando non soffia nemmeno una bava di vento, di poesia, di una storia geologica affascinante. Ma, a questa base solida, oggi va sovrapposta anche la realtà politica di molti Paesi sahariani che a seguito di svariati eventi non sono percorribili. La pazienza e la cautela ci impongono di fermarci al di qua di alcuni confini.

Sono numerose le ragioni che rendono alcune nazioni come la Libia, l’Egitto, il Niger, il Mali, escluse ora dalle rotte turistiche. Si possono riassumere in due parole: instabilità e insicurezza. Altri Paesi come la Tunisia e l’Algeria sono visitabili con riserva, a momenti e solo in certe aree, pertanto ci concederemo il piacere di accennare a quelli che per fortuna sono godibili e nei quali ogni viaggiatore può trovare il deserto che immagina.

Libri tra le sabbie

La Mauritania è stata per molto tempo costretta a rinunciare al turismo, ma è uno dei Paesi che più ha investito per bonificare il proprio territorio dai pericoli del terrorismo e oggi, dalle coste fino all’interno più aspro o dunoso, è percorribile in sicurezza.

Una delle oasi carovaniere, la famosa Chinguetti, ospita manoscritti antichi di inestimabile valore e, in attesa di rivedere quelli di Timbuctu, offre la possibilità di ammirare da vicino opere scritte a mano secoli fa, impreziosite di ori e blu e custodite gelosamente, di generazione in generazione, da famiglie di bibliotecari sahariani. Le sabbie alitano tutto intorno al villaggio e invitano all’oblio nell’ora del tramonto.

L’oasi di Ouadane non è da meno e i resti dell’antica città in pietra accolgono il visitatore come dentro un labirinto. Poco lontano l’Occhio del Sahara, l’enorme Guel El Richat, vede strati di roccia attorcigliarsi in una spirale su cui ancora ci si interroga, anche se la geologia dà spiegazioni. Le dune che si tuffano sull’oceano tempestate di conchiglie bianche e spesse confortano l’animo dopo aver percorso lunghe piste che gli amanti del Sahara sopportano indifferenti ai sobbalzi e alla polvere.

Spesso il Marocco viene snobbato dagli appassionati del deserto e proprio per questa ragione vorrei dedicare a questo Paese le parole che merita. È vero che le prime dune del sud, proprio per la facilità di accesso, sono costellate di campi tendati e numerosi turisti punteggiano la sabbia, ma si tratta solo dell’inizio di una regione che riserva sorprese anche ai più esperti. E dal momento che il deserto non è solo sabbia ma roccia e pietra, le montagne dell’Atlante, i palazzi di argilla e i villaggi berberi fanno del Marocco un Paese partecipe a pieno titolo del fascino sahariano. Inoltre, la storia del Sahara è stata scritta anche dalle città che lo circondano, e quelle marocchine sono state fari per le carovane provenienti dalle sabbie e porti per quelle che se le lasciavano alle spalle.

Marrakech conserva dentro le mura una medina in cui sperare di perdersi per scovarne ogni vicolo, certi che tutti conducono verso la Piazza della Jemaa el Fna, indescrivibile perché così vasta che quasi non esiste. A sud, le Valli del Todra e del Dades e tutta l’architettura in argilla che si annida nelle loro pieghe sono parte integrante della vasta cultura che abbraccia il Sahara tutto.

Laghi, canyon e piramidi

Sono costretta a un ampio balzo verso est sorvolando, è proprio il caso di dire, quelle parti di deserto che forse un giorno torneremo a percorrere via terra. Immagino di atterrare in Ciad, Paese che, dopo anni di difficoltà, da tempo è meta di tutti quei viaggiatori cresciuti col mito delle terre da esplorare. È così vasto che non è pensabile esaurirne la descrizione in poche parole e la visita a una sola esperienza: l’Ennedi percorso dai nomadi che sanno il deserto e convergono con le mandrie di dromedari verso le Gole di Archei per procedere a una delle abbeverate più commoventi del Sahara, tra alte pareti di arenaria e coccodrilli, il Tibesti, aspro e roccioso, su cui si eleva il cono dell’Emi Koussi, la montagna più alta di tutto il Sahara, e il Borku con le vallate affollate di palme generose di datteri. Questi sono solo alcuni dei luoghi in cui il deserto ciadiano si esprime.

Solo la zona del Lago Ciad, vicino al confine con Camerun e Nigeria, al momento è esclusa dagli itinerari percorribili, considerata zona ancora non sicura per la presenza dei terroristi di Boko Haram. In Ciad, i Tubu sono una delle etnie più fiere e non c’è viaggio da quelle parti che non ti permetta di incontrarli, seppure le feste Wodaabe di fine settembre, tra danze e volti truccati, mettano sulla scena genti di un’altra stirpe. È forse questo il pezzo di deserto che porta le tracce più evidenti di un Sahara umido e lacustre: il nord è costellato di laghi che trattengono ancora il colore del mare e la salinità, in molti casi.

L’estremità più occidentale del Sahara, il Sudan, racconta una storia che si intreccia inevitabilmente con quella del Nilo che lo percorre e che vede pullulare intorno alle proprie rive vite e fermento. Le piramidi di Meroe tra le dune, la pietra dello stesso colore delle sabbie, fa emergere un piccolo frammento del patrimonio archeologico che il deserto nasconde e accudisce. Le pareti dipinte delle tombe sotterranee di El Kurru, i colori così brillanti da suscitare stupore, riportano a una storia lontana di cui il Sudan fu protagonista. I villaggi nubiani, le montagne che fanno da barriera al mare, le vallate da cui proveniva l’oro per i faraoni…. Traendo ispirazione dal titolo di un libro scritto da Théodore Monod, il più grande sahariano del Novecento, si può tornare a essere viaggiatori delle dune, scegliendo con saggezza le tessere percorribili e pazientando in attesa che il mosaico si ricomponga.

(Elena Dak)

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