Quando la cittadinanza è un privilegio

di claudia
polizia nigeriana

Polemiche a Cologno Monzese (MI) su un bando comunale per un posto di agente aperto anche ai richiedenti asilo. Secondo l’articolo 38 del Testo unico del pubblico impiego i delegati alla sicurezza devono avere per forza la cittadinanza italiana. Ma davvero il passaporto è più importante delle competenze, della dedizione alla professione?

di Sindbad il MarinaioNuoveRadici.world

Ci sono storie talmente surreali che da sole raccontano meglio di tante cose la complessità di questi tempi. L’ultima l’ha innescata il sindaco di Cologno Monzese, poco meno di 50 mila abitanti nell’hinterland milanese, praticamente un quartiere della città. Angelo Rocchi, primo cittadino a trazione leghista da sei anni, è finito nel mirino di un sindacato autonomo della polizia locale, il Sulpl, che lo ha attaccato frontalmente per aver indetto un concorso ad un posto di agente aperto anche ai richiedenti asilo, a chi «sia titolare dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria», oltre che agli italiani con regolare cittadinanza.

L’apertura è stata contestata dal sindacato autonomo che, regolamento alla mano, bacchetta il sindaco leghista progressista e ricorda che «l’articolo 38 del Testo unico del pubblico impiego preclude ai cittadini dell’Unione europea e agli extracomunitari l’accesso ai posti di lavoro pubblici per i quali vi sia esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri mentre consente a loro l’accesso a quelle figure professionali che non implicano l’esercizio di tali poteri. Tradotto, l’operaio comunale e l’autista dello scuolabus ben potrebbero non avere la cittadinanza italiana ed essere assunti in Comune. Ma non gli agenti di polizia locale».

Il sindaco Rocchi e l’ipocrisia del bando

Il sindaco leghista Angelo Rocchi spiega che ha voluto solo applicare il codice: “Sui clandestini sono il primo a non volerli. Ma il format del nostro bando è quello stabilito dalla legge. Abbiamo solo fatto un copia e incolla. Io non mi metto di certo a fare un bando che discrimina qualcuno, sono già stato condannato per una ordinanza del mio comune contro gli immigrati. Ma tanto, nessun profugo supererà mai l’esame. I sindacati stanno facendo un can can contro di me solo per avere visibilità”. “Se è giusto che gli stranieri senza cittadinanza, come i medici, possano lavorare anche nel pubblico e non solo nel privato?” – prosegue- “Boh… lo decida l’Europa”.

La logica del sindaco Angelo Rocchi, venata di cinismo verrebbe a dire, non fa una grinza. Ma mette in luce come gli amministratori locali, davanti a leggi con una logica non sempre chiara, si debbano barcamenare per salvare la capra – cioè la poltrona – e i cavoli, ovvero l’ideologia.

L’articolo 38 del Testo unico del pubblico impiego lascia assai perplessi

In sostanza si chiede che, avendo compiti di polizia giudiziaria, i delegati alla sicurezza devono avere per forza la cittadinanza italiana. Questo per evitare che uno straniero, con un altro passaporto, possa fare gli interessi del suo Paese di origine in un settore così delicato.
Il suddetto articolo consente invece – citiamo testualmente la nota del sindacato – che un operaio comunale o l’autista di uno scuolabus, possano svolgere le loro mansioni alle dipendenze del Comune pur non avendo una cittadinanza. Noi ci ricordiamo bene del dibattito innescato anche su Nuove Radici  dall’Amsi, l’associazione dei medici stranieri in Italia, che da sempre si batte perché sanitari e parasanitari senza cittadinanza possano svolgere il loro ruolo, fondamentale come mai di questi tempi, non solo in campo privato ma pure in quello pubblico.

E allora, ancora una volta, ci chiediamo: davvero il passaporto è più importante delle competenze, della dedizione alla professione o alla legge italiana? Davvero essere cittadini italiani con timbro in carta da bollo ci fa essere migliori di chi ha attraversato mari e monti – non parliamo in senso metaforico – per venire qui e costruirsi una nuova vita? Su questo sono d’accordo con il sindaco leghista Angelo Rocchi: decida l’Europa. Ma, appunto, aspetta e spera.

Foto Flickr//David Robert Bliwas

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