Perché l’Occidente dovrà ripensare la propria politica strategica in Africa

di claudia
sahel

di Angelo Ferrari – Agi

I paesi dell’area saheliana hanno dimostrato, fino ad ora, di privilegiare il rapporto con Mosca rispetto a quelli Nato. Un esempio eclatante è il ritiro dal Mali dei francesi con l’operazione Barkhane e di quella europea Takuba. Ecco perché l’Occidente dovrà ripensare completamente la propria strategia in Africa

La Nato volge il suo sguardo anche a sud del Mediterraneo, in particolare verso il Sahel. E questa sembrerebbe una novità se non fosse che già nel passato la Nato è intervenuta nella gestione delle crisi su richiesta dell’Unione Africana (Ua). L’esordio è del 20005 quando, con l’acuirsi della crisi del Darfur, la Nato ha accolto la richiesta della Ua di supportare la sua missione di peacekeeping in Sudan. Poi nel 2009 la richiesta, sempre da parte della Ua di sostenere la missione in Somalia. Poi nel 2009 con l’operazione Ocean Shield per la lotta contro la pirateria nel Corno d’Africa. Per non dimenticare ciò che è successo in Libia a partire dal 2011. Sono solo alcuni esempi.

Con l’ultimo vertice della Nato a Madrid, che ha ridisegnato la postura dell’Allenza a livello globale puntando con più forza alla deterrenza e alla difesa collettiva, resta l’impegno verso la prevenzione e la gestione delle crisi con un focus significativo sul Nord Africa e il Sahel. Di sicuro l’Italia può dirsi soddisfatta del linguaggio usato nel nuovo Concetto strategico – come scrive su Affarinternazionali.it, Elio Calcagno – rispetto a una regione di primario interesse per il paese. Tuttavia il capitale politico, militare ed economico dell’Allenza verrà inevitabilmente incanalato verso est e verso la minaccia russa. L’Italia, dunque, dovrà giocare un ruolo più propositivo e concreto sul fianco sud in ambito Nato di quanto abbia fatto fino ad oggi. Roma non può permettersi di stare a guardare e non può essere uno spettatore passivo come in Libia.

La gestione e la prevenzione delle crisi, in particolare nel Sahel, dovranno necessariamente passare attraverso una “richiesta” dell’Unione africana e il consenso dei paesi coinvolti. E visto il clima anti-occidentale che regna in questa regione dell’Africa è abbastanza complesso che i governi saheliani si affidino all’Alleanza per risolvere le crisi interne, senza dimenticare, poi, la forte presenza della Russia in quell’area.

Detta in parole povere la lotta al terrorismo nel Sahel non può essere camuffata come deterrenza nei confronti della minaccia russa. Insomma, i paesi dell’area saheliana hanno dimostrato, fino ad ora, di privilegiare il rapporto con Mosca. Un esempio eclatante è il ritiro dal Mali dei francesi con l’operazione Barkhane e di quella europea Takuba. Un bel rompicapo.

Elicottero militare dell’operazione Takuba

Fino ad ora tutto è sulla carta ma alcune fughe in avanti di qualche ministro degli Esteri europeo, fanno già discutere nel Sahel. In particolare in Mali dove l’ambasciatore spagnolo a Bamako, Romero Gomez, è stato convocato dal ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, dopo le parole del suo omologo spagnolo, Manuel Alvares che in una dichiarazione non escludeva un possibile intervento della Nato in Mali.

Diop non le ha mandate a dire e in un’intervista ha spiegato: “Oggi abbiamo convocato l’ambasciatore spagnolo per sollevare una forte protesta contro queste affermazioni. L’espansione del terrorismo nel Sahel è principalmente legata all’intervento della Nato in Libia, le cui conseguenze stiamo ancora pagando”.

Parole dure, ma Diop non si ferma qui, ha infatti definito le affermazioni del suo omologo spagnolo “ostili, gravi e inaccettabili”, perché “tendono a incoraggiare l’aggressione contro un paese indipendente e sovrano”. L’ambasciata spagnola, in un tweet, ha cercato di smorzare i toni spiegando che la “Spagna non ha richiesto, durante il vertice della Nato o in un qualsiasi altro momento, un intervento, una missione o qualsiasi azione dell’Allenza in Mali”. L’occidente dovrà abituarsi a questa ostilità che, in parte, è persino giustificata dalle missioni militari francesi e europee nell’area.

Secondo il direttore del Centro studi sulla sicurezza dell’Istituto francese di relazioni internazionali (Ifri), Elie Tenenbaum, la Francia, ma anche l’occidente nel suo insieme, deve “pensare” una nuova strategia, perché attualmente la “dinamica strategica produce l’opposto di ciò che si è prefissa”. L’analista sostiene che i tentativi di entrare in partenariato con gli attori locali ha prodotto attriti – il Mali ne è un esempio – i francesi hanno cercato di arginare il deterioramento della sicurezza in Sahel ma non ci sono riusciti. Nel difendere i propri interessi la Francia non ha fatto altro che alimentare un sentimento anti francese.

Ma il problema su tutti è quello di avere trascurato le ambizioni russe, turche e cinesi. Attori nello scacchiere africano molto più spregiudicati e soprattutto meno interessati alle politiche interne dei paesi con cui diventano partner. La Francia, invece, non ha fatto altro che continuare, anche “sottobanco”, a determinare le politiche interne delle ex colonie, a “scegliere” chi di volta in volta avrebbe governato. Insomma, un’ingerenza inizialmente mal sopportata e ora totalmente avversata da buona parte delle popolazioni saheliane, certo con gradazioni diverse, ma pur sempre penetrante.

È chiaro che l’occidente dovrà ripensare completamente la sua strategia globale nel Sahel e nell’Africa occidentale se non vuole essere “sfrattato”. Ciò lo chiedono anche le opinioni pubbliche, in particolare quella francese, che cominciano a non capire più le politiche post coloniali della Francia e quelle dell’Europa che sembra avere come unico obiettivo quello di spostare sempre più a sud il confine del Mediterraneo per arginare i flussi migratori.

Angelo Ferrari – Agi

Condividi

Altre letture correlate: