Perché l’Africa non ha un “suo” vaccino covid-19

di Stefania Ragusa

Nel processo di questa pandemia, qualcuno ha pensato o provato a fare i vaccini in Africa?  Risposta affermativa. Questo pensiero – che avrebbe potuto anticipare e risolvere il problema della scarsità di dosi a disposizione del continente – non si è tuttavia tradotto in un’azione politicamente supportata e in risultati concreti. Come mai? In Nigeria, per esempio, sarebbero allo studio ben due vaccini. I media locali ne hanno dato notizia in questi giorni. Ma le sperimentazioni cliniche di entrambi non sono partite.

All’African Center of Excellence for Genomics of Infectious Diseases (Acegid) dell’università di Redeemer, nello stato di Oyo, il dottor Christian Happi, biologo molecolare e genomicista, aveva annunciato già a settembre di essere impegnato a sviluppare un vaccino Covid-19 in collaborazione con l’Università di Cambridge. In uno studio preclinico, era stato identificato un anticorpo neutralizzante che avrebbe potuto abbattere fino al 90% dei virus. Si trattava di un risultato molto interessante, secondo il dottor Happi. Sfortunatamente, il laboratorio non è stato in grado di ottenere fondi per scalare le tappe successive, a partire dagli studi clinici. «L’Africa non ha investito nello sviluppo del vaccino Covid19 quando avremmo potuto produrre un vaccino per la popolazione africana», è il commento conciso che Happi ha rilasciato a Quartz Africa.

Non è solo una questione di ricchezza o capacità. Paesi a reddito medio come India, Cuba, India, Vietnam, Kazakistan, Turchia, Thailandia e Iran hanno tutti elaborato vaccini potendo realizzare studi clinici sull’uomo. Il fatto che ciò non sia accaduto in Africa riflette piuttosto una particolare visione culturale, che orienta le spese e gli investimenti in precise direzioni. Gli sforzi compiuti dagli scienziati africani sono in corso, ma non sono riusciti a ottenere il sostegno né dal settore pubblico né da quello privato.

La spesa del continente in ricerca e sviluppo è ferma allo 0,5% del pil. La media globale viaggia intorno 2,2%. Di conseguenza, i suoi sistemi sanitari dipendono eccessivamente dai paesi di altre regioni per nuovi farmaci e vaccini. Anche le aziende farmaceutiche locali si concentrano sulla produzione di farmaci generici. Di solito ci vogliono molti mesi, e talvolta diversi anni, dopo l’approvazione di un nuovo farmaco o trattamento prima che sia accessibile in Africa.

La mancanza di fondi è collegata in parte a una scelta di base: i paesi africani preferiscono concentrarsi sulla fornitura di vaccini già sviluppati piuttosto che crearne di propri. Guidati dall’Africa Union e dall’Africa Centers for Disease Control and Prevention, gli stati hanno risposto alla pandemia come un fronte comune, impiegando una strategia che ha permesso di mettere in comune le risorse nell’acquisto di vaccini già pronti. Sono stati in grado di ottenere finanziamenti da Afreximbank, che sta facilitando i pagamenti per i vaccini covid-19 fornendo garanzie di impegno di approvvigionamento anticipato fino a 2 miliardi di dollari ai produttori per conto degli Stati membri dell’Ua. Il costo dello sviluppo di un vaccino, dai test preclinici fino ai test sull’uomo, può variare dagli 8 milioni di dollari ai 350 milioni. Produrre in proprio sarebbe dunque una scelta più conveniente anche sul piano economico.

«Abbiamo le risorse umane, abbiamo il know-how; abbiamo la capacità intellettuale, ma non abbiamo la volontà politica di mobilitare le risorse per realizzarlo», ha detto il dottor Happi. Crede che la preferenza di acquistare vaccini importati piuttosto che svilupparli e produrli sia un‘eredità della colonizzazione. «Per gli africani, tutto ciò che proviene dall’estero è il migliore». La scelta di affidarsi alle donazioni di paesi come Cina e India, o anche l’accordo globale di condivisione dei vaccini Covax, che ha promesso dosi di vaccino sufficienti per coprire il 20% della popolazione del paese entro la fine del 2021, riflette questa eredità.

(Stefania Ragusa)

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