Libia, elezioni alle porte ma nessuno sembra volerle

di claudia

Le elezioni parlamentari e presidenziali a cui è chiamata la Libia tra poco più di un mese convincono pochi e allo stesso tempo rischiano di vanificare tutti gli sforzi fatti finora per stabilizzare il Paese. A pensarlo è Arturo Varvelli, responsabile dell’ufficio romano e Senior Policy Fellow dell’European Council on Foreign Relations e tra i massimi esperti di Libia in Italia. “Gran parte delle forze politiche non vorrebbero queste elezioni perché nel Paese si è trovato un equilibrio che consente di non guerreggiare e a ogni capo politico di spartirsi il potere” spiega ad InfoAfrica. In questo scenario, secondo l’esperto, è rischioso mettere a repentaglio queste conquiste con un voto che può scompaginare tutto e scontentare molti.

Negli ultimi mesi in Libia si sono susseguite le tensioni soprattutto tra l’Alto consiglio di Stato di Tripoli e la Camera dei rappresentanti di Tobruk – ma anche all’interno dello stesso parlamento dell’est – sulle leggi elettorali per il voto. A poco più di un mese dalla data stabilita del 24 dicembre manca tuttora un accordo anche sull’accorpamento o meno delle due elezioni e sull’ammissibilità di una candidatura dell’attuale primo ministro, Abdul Hamid Dbeibah, a sua volta in rotta con il capo del Consiglio presidenziale, Mohamed al-Menfi. Come ultima crepa a sancire le divisioni della politica libica è arrivato in questi giorni l’appello a boicottare le elezioni da parte di Khaled al-Mishri, capo dell’Alto consiglio di Stato, proprio a causa delle lacune nelle norme per il voto.

Chi chiede a gran voce che queste elezioni si tengano nei tempi previsti dal processo di Berlino e dall’Onu, è invece la comunità internazionale. Il problema per Varvelli però è “non aver preparato adeguatamente il terreno” perché questo possa avvenire senza tensioni. Il percorso verso il voto “è stato solo abbozzato ed è mancato un sostegno forte da parte dell’Europa”. Per scongiurare attriti pre e post elettorali in uno scenario complicato come quello libico “serviva un grande lavoro che mirasse all’inclusione progressiva di tutte le parti”, che però non è stato fatto. “Ci sono state le buone intenzioni, ma è mancata la progettualità”.

Secondo l’esperto le elezioni “sono state fissate troppo presto” con il rischio concreto “che tutto salti di nuovo”. La ricerca di una maggiore democratizzazione del Paese potrebbe risolversi così con una nuova situazione di incertezza. Anche se in Libia sembrano tutti scontenti di andare al voto in questo momento – dalle milizie alla classe politica – per Varvelli “è ormai  troppo tardi anche per posticipare le elezioni”, soprattutto perché nessuno si vuole intestare questa esplicita richiesta. Secondo il ricercatore “una forza che lo facesse sarebbe accusata di voler conservare il potere”.

Salvo grandi sorprese, quindi, le elezioni si terranno, ma i paragoni che evoca l’attuale contesto libico non riservano molto ottimismo. “Come in Iraq, chi si prende il potere non lo fa in un sistema di check and balances e per questo la tensione potrebbe salire subito dopo il voto se qualcuno non si adeguerà ai risultati” spiega Varvelli. “Immaginando boicottaggi, partecipazione scarsa e disordini, chi perderà non sarà veramente sconfitto e viceversa”. Destano particolari preoccupazioni le elezioni presidenziali a cui, si vocifera, si potrebbero candidare il figlio di Muammar Gheddafi, Saif, e il generale della Cirenaica, Khalifa Haftar. I due sarebbero candidati “molto divisivi” commenta Varvelli, che non crede che qualcuno possa vincere con una netta maggioranza, lasciando aperte la possibilità a violente contestazioni.

È in questa situazione di incertezza che oggi si tiene a Parigi la conferenza sulla Libia voluta dalla Francia con l’intento di dare l’ultimo impulso al processo democratico, coinvolgendo anche Stati vicini, potenze regionali e internazionali. I lavori saranno co-presieduti, oltre che dalla Francia, da Italia, Germania, Libia e Nazioni Unite e sarà presente anche la vicepresidente americana Kamala Harris. Il summit, “sembra una mossa un po’ tardiva e non si capisce a cosa serva nella pratica”, commenta Varvelli, secondo cui “è difficile che possa portare a risultati significativi”, tanto più se sarà confermata l’assenza della Turchia. Con la presenza militare in Libia di Istanbul e Mosca, riluttanti ad andarsene, bisognerà necessariamente fare i conti  nel futuro prossimo, spiega Varvelli. L’auspicio dell’esperto in un momento così delicato per la Libia è che l’Europa per prima si attrezzi e parli con una sola voce, altrimenti “raccoglieremo solo gli effetti di queste crisi”. 

(Tommaso Meo)

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