Libia | 50.000 migranti tornano indietro

di Enrico Casale
migranti in Libia

Gli immigrati africani vengono tutti in Europa? No, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). In un rapporto, pubblicato martedì 2 marzo, l’organizzazione sostiene che, dal 2015 a oggi, oltre 50.000 migranti sono volontariamente rientrati nei loro Paesi di origine.

«Dal 2015, oltre 50.000 migranti hanno ricevuto l’assistenza volontaria per il rimpatrio umanitario dell’Oim dalla Libia – è scritto nel rapporto –. Sui voli di rimpatrio volontario umanitario sono state imbarcate centinaia di persone ogni mese, nonostante le continue minacce alla sicurezza legate agli scontri in atto nel Paese».

L’Oim gestisce il programma di rimpatrio volontario umanitario, che organizza il ritorno degli immigrati clandestini bloccati in Libia nei loro Paesi di origine. I migranti rientrano volontariamente in 44 Paesi di origine in Africa e in Asia. Prima della loro partenza, tutti hanno ricevuto uno screening medico per valutare la loro idoneità a viaggiare. I rimpatriati hanno diritto a ricevere l’assistenza di reinserimento della Oim una volta arrivati ​​a casa, compresa la formazione professionale e il sostegno economico, ha affermato l’organizzazione.

Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu che si occupa di rifugiati, attualmente in Libia ci sarebbero 47mila migranti, dei quali solo circa duemila ospitati in campi gestiti dalle Nazioni Unite.  Questi immigrati irregolari, soprattutto africani, tentano di attraversare il Mar Mediterraneo verso l’Europa dalla Libia dopo la rivolta del 2011 che ha rovesciato il defunto leader Muammar Gheddafi. La gran parte di loro vive in campi gestiti direttamente dalle milizie che si dividono il controllo del territorio libico.

In un recente rapporto firmato da António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, si afferma che «migranti e rifugiati hanno continuato a essere sistematicamente sottoposti a detenzione arbitraria e tortura, in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali: violenza sessuale, rapimento per riscatto, estorsione, lavoro forzato». «I responsabili di tali violazioni – accusa di Guterres – comprendono funzionari governativi, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali».

Tra i luoghi di maggiore allarme, segnala il quotidiano Avvenire, vi sono il campo “al-Nasr” a Zawiya, che ospita il maggior numero di prigionieri e i cui torturatori sono noti anche alla magistratura italiana, e il centro di detenzione di Tajoura, «rimasto aperto – lamenta Guterres – nonostante il governo di accordo nazionale il 1° agosto ne avesse annunciato la chiusura». Proprio qui continuano a ripetersi raccapriccianti abusi.

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