L’Africa unita conta di più

di claudia
unione africana

L’Unione Africana, nata vent’anni fa, è lungi dal conseguire gli obiettivi ambiziosi che si era proposta. Colpa soprattutto dei tanti leader politici che sabotano i suoi poteri. Eppure questa istituzione spinge il continente a rinnovarsi e a promuoversi. Se limiti e contraddizioni sono evidenti, lo sono anche gli effetti benefici

di Mario Giro

“Unione Africana: cos’hai fatto dei tuoi vent’anni?”, ha titolato Jeune Afrique in un lungo dossier per l’anniversario dell’organizzazione continentale. L’analisi dei due decenni non è del tutto probante: molti soldi spesi per poca incisività. L’autonomia finanziaria è ancora lontana (il 60% del bilancio è pagato dall’Ue) malgrado le riforme volute all’epoca della presidenza di turno rwandese. Molte istituzioni create per produrre pochi risultati, se non pagare stipendi d’oro. Molte altre rimaste sulla carta, come la banca africana degli investimenti, il fondo monetario africano e così via. L’idea era quella di rendere il continente autonomo dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali, ma ancora non ci siamo.

Del Parlamento africano non si sente granché parlare, così come della Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. Anche la forza africana di intervento rapido non ha ancora visto la luce. Di tale elefantiaco immobilismo, tutti gli specialisti di cose africane additano sempre lo stesso colpevole: la conferenza dei capi di Stato, che non avrebbero nessuna intenzione di far funzionare altri ingranaggi istituzionali. Gli africani lo chiamano “il sindacato dei presidenti” che si proteggono a vicenda, evitando ogni possibile attività autonoma di corti, commissioni, assemblee o simili.

Se tutto questo è certamente vero, resta il fatto che al volgere del millennio la fondazione dell’Ua è stata una vera svolta rispetto alla nobile ma ormai obsoleta Oua (Organizzazione dell’unità africana). Nata nel 1963, quest’ultima non era riuscita a concretizzare il grande sogno dell’unità, disperdendosi in fumose e inconcludenti riunioni tra leader. La nuova Unione ha avuto il merito di rendere visibili i problemi africani e la cattiva volontà di alcuni leader. Tra l’altro ha messo un freno alle manipolazioni elettorali e costituzionali: oggi chi giunge al potere con un golpe è automaticamente sospeso dai vertici e chi non paga le quote perde il diritto di voto. Non tutto è permesso all’Ua, come lo era all’Oua: i capi di Stato devono tener conto di una certa legalità costituzionale e legittimità politica. Ciò significa che, invece di utilizzare la violenza, oggi sono costretti a usare metodi legali o para-legali, magari giuridicismi, brogli o forzature istituzionali, ma non possono impunemente imporsi come fossero regimi autocratici. Non è ancora la democrazia ma siamo ormai lontani da fenomeni come Bokassa o Idi Amin. La Commissione pace e sicurezza, una di quelle più efficaci, serve a segnalare le crisi interne, a condannare putsch, a proporre mediazioni e a ridurre in svariati casi il tasso di violenza.

Si possono inoltre vantare i successi di una certa forma di processo di integrazione doganale, fiscale e commerciale: il grande mercato unico africano (Afcfta) non è ancora partito ma è stato votato e firmato: resta solo da compiere il processo di ratifica dei parlamenti nazionali. L’avvento dell’Unione Africana ha spinto le preesistenti organizzazioni regionali a divenire più efficaci, come nel caso dell’Ecowas/Cedeao (quella dell’Africa occidentale) che da tempo compie operazioni militari di peacekeeping ed è forse la più performante nei confronti dei governi golpisti. Lo si è visto nel recente, duro confronto negoziale con le giunte militari del Mali, del Burkina Faso e della Guinea, in cui la posizione dell’Ecowas è rimasta favorevole a transizioni brevi allo scopo di tornare il prima possibile alla legalità costituzionale. Dopo aver resistito per qualche mese, anche le autorità militari golpiste del Mali si sono dovute piegare.

Oltre alla pace, la vera sfida dell’Ua è di indurre un processo di sviluppo autocentrato nel continente, basato sulla trasformazione delle materie prime. Se ciò avvenisse vedremmo nascere un settore industriale e un agrobusiness africani. Infine l’Unione Africana ha reso il continente più forte nei consessi multilaterali: in tutta la famiglia Onu l’Africa decide la sua posizione quasi sempre in anticipo con l’assenso di tutti gli Stati, come un solo continente. Con quest’Africa unita devono fare i conti tutti gli altri.

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