L’accordo sudanese per ora non convince

di claudia

Un dietrofront del golpe o una maggiore legittimità ai militari? È ancora difficile intravedere quale sia il vero il significato dell’accordo stretto tra Abdalla Hamdok e il generale Abdel Fattah al-Burhan che non più tardi del 25 ottobre scorso aveva fatto arrestare il primo ministro e sciolto le istituzioni. Per ora si sa che grazie al patto siglato domenica Hamdok tornerà a guidare un esecutivo e che gli altri alti funzionari arrestati insieme a lui verranno liberati, due tra le richieste che lo stesso premier e la comunità internazionale avanzavano da settimane. L’accordo in totale prevede 14 punti di cui però si sa ancora poco.

La missione integrata delle Nazioni Unite di assistenza alla transizione  in Sudan (Unitams), insieme a Norvegia, Regno Unito, Stati Uniti, Unione Europea, Svizzera e Canada hanno tutti accolto con favore l’accordo politico per reintegrare Hamdok come Primo Ministro di un governo di transizione a guida civile, in attesa delle elezioni. L’accordo, secondo questi Paesi, rappresenterebbe un nuovo impegno nei confronti della Dichiarazione costituzionale del 2019 come base per la transizione verso la democrazia. Il patto è stato sostenuto anche dall’Arabia Saudita e dall’Egitto, che ha forti legami con l’esercito sudanese.

Se la comunità internazionale ha apprezzato la svolta, le forze politiche che hanno opposto resistenza alla presa di potere militare di queste settimane hanno respinto l’accordo come un “tentativo di legittimare il golpe” e promesso che le manifestazioni non si fermeranno, come si è visto domenica. Migliaia di manifestanti in più manifestazioni hanno respinto l’accordo, gridando “No al potere militare” e chiedendo alle forze armate di ritirarsi completamente dal governo. Anche la coalizione civile delle Forze della libertà e del cambiamento (Ffc), che condivideva il potere con i militari prima del golpe, ha affermato di non riconoscere alcun accordo con le forze armate.

Hamdok, da parte sua, in un’intervista ad Al Jazeera si è impegnato a guidare un “governo tecnocratico” composto da professionisti qualificati che porteranno il paese sulla strada della democrazia. Il nuovo esecutivo, ha spiegato Hamdok, si concentrerà sull’istituzione di una conferenza costituzionale e sullo svolgimento delle elezioni entro giugno 2023, per completare “la transizione verso la democrazia e i relativi obblighi”.

Gli analisti avvertono che la mossa distensiva potrebbe però servire semplicemente a lavare le macchie dal colpo di Stato, visto non è chiaro quanto potere avrà il governo di Hamdok visto che dovrebbe agire sotto la supervisione di un consiglio sovrano ancora più in mano ai militari. Hamdok ha assicurato ad Al Jazeera che l’accordo garantisce al primo ministro “il potere e l’autorità” per formare un governo indipendente e tecnocratico in “assoluta libertà e senza alcuna pressione, tuttavia anche i ministri dovranno essere approvati dal Consiglio.

Hamdok ha affermato di avere firmato per “evitare ulteriori spargimenti di sangue” e si è impegnato a lanciare un’indagine indipendente sugli omicidi e le violazioni commesse dai militari. Dal 25 ottobre 41 persone sono morte durante le manifestazioni pro democrazia. Il nuovo primo ministro ha inoltre sottolineato a Reuters di avere accettato il compromesso con al-Burhan per non sprecare i progressi economici degli ultimi due anni.
Intanto in queste ore sono già arrivate le prime prove dell’impegno dei militari a rispettare l’accordo. Le autorità sudanesi hanno infatti già rilasciato un certo numero di detenuti politici. Tra i liberati ci sono il consigliere politico Yasser Arman, il capo del Partito socialista arabo Ba’ath, Ali Al-Rih Al-Sanhoury, il leader del Partito del Congresso sudanese, Omar Al-Diqir, e quello di Umma, Al-Siddiq al- Sadiq al-Mahdi.

Condividi

Altre letture correlate: