Itala Vivan ▸ In memoria di Samir Amin, marxista africano

di Pier Maria Mazzola
Samir Amin

L’anno scorso, il 12 agosto, è scomparso un grande economista politico che ha incentrato sull’Africa una lunga e profonda riflessione condotta nell’alveo del pensiero marxista. Molti i suoi libri tradotti in italiano. Non lasciamolo cadere nell’oblio. 


Per le origini, la formazione filosofica e l’esperienza di una vita impegnata in senso sia politico sia intellettuale, Samir Amin costituisce un’icona del suo tempo e, insieme, un raro esempio di studioso geniale, capace di interpretare quello stesso tempo e di delinearne con drammatica precisione, ma anche con tenace fermezza, i principi di egoistica aggressività che, dettati da interessi di classe, avrebbero condotto il mondo sempre più avanti lungo la china dell’ineguaglianza e verso il rischio del disastro planetario.

Samir Amin nasce al Cairo nel 1931 da padre egiziano e madre francese, entrambi medici, e cresce a Port Said, dove studia alla locale scuola francese, conseguendola maturità nel 1947, l’anno in cui, con l’indipendenza dell’India, si avvia la smobilitazione politica e amministrativa degli imperi coloniali europei. Nello stesso 1947 va a Parigi per frequentare il corso di Scienze Politiche alla Sorbona e si iscrive al Pcf, il Partito comunista francese, da cui in seguito prenderà le distanze (probabilmente anche per la stretta osservanza di marca sovietica del Pcf), spostandosi su posizioni maoiste.

Alla prima laurea, 1952, segue una seconda laurea in Statistica, nel 1956, e infine, nel 1957, una laurea in Economia con una tesi sulle origini del sottosviluppo che annuncia alcuni temi di fondo delle sue opere maggiori, e viene pubblicata con il titolo Gli effetti strutturali dell’integrazione internazionale delle economie precapitalistiche: uno studio teorico del meccanismo che ha generato le cosiddette economie sottosviluppate. Per Amin, come per altri teorici della dipendenza postcoloniale, il Terzo mondo è vittima del ladrocinio e del saccheggio del colonialismo, ma anche di una mancata industrializzazione, e del conseguente scambio ineguale. Lo spazio politico disponibile gli appare angusto, e l’emancipazione difficile. È necessario molto coraggio per spezzare il giogo dei monopoli capitalistici e sollevarsi per avanzare verso un futuro socialista.

Al pari di altre grandi figure di intellettuali postcoloniali, Samir Amin non passa direttamente alla carriera accademica: si impegna invece nella viva esperienza postcoloniale. Lascia l’Europa e nel 1957 ritorna al Cairo come ricercatore inquadrato nel governo di quel Nasser anticolonialista e panarabista che con la crisi di Suez aveva dato un colpo mortale all’imperialismo britannico e francese, e si apprestava a coalizzare la Lega Araba, mentre insieme a Nehru e Tito avrebbe fondato il Movimento dei Paesi non allineati.

Si trasferisce quindi nel Mali appena divenuto indipendente, e rimane nella sua capitale Bamako dal 1960 al 1963 come consulente della pianificazione economica del Paese. Da quell’esperienza trae materiale per il libro del 1965, Trois expériences africaines de développement: le Mali, la Guinée et le Ghana.

Nel 1963 accetta di entrare all’Institut Africain de Développement Économique et de Planification (Idep) di Dakar, che quindi dirigerà dal 1970 al 1980, abbandonandolo a causa di divergenze di indirizzo politico per fondare il Third World Forum, che guiderà sino alla fine della vita. Dakar e il Senegal divengono così la sua base strategica, da cui comunque si allontana spesso per insegnare in varie grandi università, da Poitiers a Parigi, dove terrà la cattedra alla storica Paris VIII di Vincennes, nata dal movimento del ‘68.

Nel suo libro fondamentale, L’accumulazione su scala mondiale, del 1970, che lo colloca in prima fila fra i sostenitori della teoria della dipendenza, Amin mostra come le risorse confluiscano dai Paesi della periferia verso il centro, in un processo che egli denomina «rendita imperialista». Negli anni Settanta, quando il sistema cambia, identifica tali cambiamenti sia empiricamente che sul piano teorico, e scriverà La teoria dello sganciamento per uscire dal sistema mondiale, teorizzando uno dei più importanti metodi elaborati e proposti da Amin per combattere il capitalismo, cioè il cosiddetto delinking o, appunto, «sganciamento», con cui suggerisce di staccarsi dal sistema della dipendenza economica creata dal capitalismo per creare nuove alleanze e nuove modalità di produzione e scambio.

L’arco amplissimo delle sue pubblicazioni sta a testimoniare un’attenta osservazione della realtà economica durata un’intera vita, e accompagnata da vigile e ininterrotta riflessione e presenza politica: il tutto, lungo le tracce di un marxismo su cui si costruisce la meditazione sul reale e si edifica un nuovo pensiero, che parte dall’analisi del sottosviluppo e dall’identificazione in Lo sviluppo ineguale, per denunciare il presente con L’imperialismo contemporaneo, e disegnare l’evoluzione del capitalismo con Il capitalismo del nuovo millennio. L’economia politica dello sviluppo dal XX al XXI secolo; ll Capitalismo nell’era della Globalizzazione; Come funziona il capitalismo?

Samir Amin non critica soltanto, ma propone vie d’uscita e soluzioni possibili, come testimoniano Oltre il capitalismo senile per un XXI secolo non americano; Per un mondo multipolare; Altermondialista (con François Houtart); Oltre la mondializzazione; La  crisi. Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi? 

Nel suo pensiero rivive la potenza visionaria che caratterizza il marxismo sin dalle origini e che gli suggerisce la sarcastica rilettura marxiana esemplificata in varie sue opere, come Spectres of Capitalism; Le fiabe del Capitale. A 150 anni dal Manifesto comunista, o anche The Implosion of Contemporary Capitalism.

Un duraturo sodalizio ideale e umano con Giovanni Arrighi,  André Gunder Frank e Immanuel Wallerstein darà frutto in libri come Dinamiche della crisi globale eTransforming the Revolution: Social Movements and the World System, mentre la continua osservazione delle situazioni postcoloniali africane gli suggerirà una serie di importanti studi, quali L’économie du Maghreb (in 2 volumi); Le développement du capitalisme en Côte d’Ivoire; The Class Struggle in Africa; L’Africa del sottosviluppo; Le monde des affaires sénégalaises; L’Afrique de l’Ouest bloquée  e vari altri che qui è impossibile citare uno ad uno.

La sua visione del mondo e delle sue modalità contemporanee lo conduce a identificare negli Stati Uniti il responsabile primario del capitalismo attuale e delle sue degenerazioni, e ad avocare la fine delle alleanze (che gli appaiono micidiali) con questo Paese, a cominciare dall’odiata Nato, contro cui scrive in anni ancora lontani Fermare la Nato.

Samir Amin era tutt’altro che un freddo scienziato. La passione per la giustizia e l’intelligenza, la tensione verso il futuro informano e animano tutta la sua opera, così come caratterizzavano la sua personalità umana, rendendola immensamente attraente e facendo di lui un uomo veramente indimenticabile.

«La sfida di oggi non consiste quindi nel cercare di uscire dalla crisi del capitalismo, ma nel cominciare a uscire dal capitalismo in crisi. Il pensiero critico sociale dovrebbe impegnarsi a fondo in tale questione, dato che essa si basa sulla distinzione fra questo tipo di crisi del sistema e le crisi all’interno del sistema». Samir Amin

Itala Vivan, professore ordinario alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, ha pubblicato libri e saggi nel campo degli Studi Postcoloniali e Culturali. È specialista di questioni coloniali e postcoloniali, e di letterature africane e della diaspora nera; ha analizzato le vicende dell’apartheid in Sudafrica e il trapasso nel Nuovo Sudafrica, scrivendone anche in diversi libri.  Svolge ricerca sulla funzione dei musei culturali e su vari aspetti delle letterature postcoloniali.

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