Il Senegal musulmano vieta il velo integrale

di Enrico Casale
il senegal vieta il velo integrale

Il Senegal non è la laica Francia e neppure la Turchia di Kemal Ataturk. Eppure di fronte alla minaccia del terrorismo islamico ha deciso di prendere una decisione drastica: vietare il velo integrale femminile. Lo ha annunciato ieri il ministro dell’Interno, Abdoulaye Diallo Daouda, e la notizia è stata subito rilanciata dalle agenzie e dei siti di informazione.

Il Senegal è un Paese musulmano. Il 90% della popolazione professa un Islam con profonde radici sufi che ha saputo far proprie la cultura e le tradizioni locali. Una fede che si esprime attraverso le grandi confraternite, alle quali quasi tutti i senegalesi appartengono, e che ha come punti di riferimento figure religiose come i marabutti. È un Islam molto dialogante e, negli anni, ha saputo confrontarsi con rispetto alla minoranza cristiana che vive e lavora nel Paese (tanto che i primi due Presidenti senegalesi erano cattolici). I musulmani senegalesi vengono considerato un po’ eterodossi rispetto alla grande Umma, ma la loro fede è riconosciuta come profonda e radicata nella società.

Per questo motivo il divieto ha fatto un po’ scalpore. Ma il ministro dell’Interno si è affrettato a spiegare che la proibizione del velo integrale per le donne «non è una questione religiosa, ma di sicurezza nazionale». «Siamo tutti i praticanti – ha detto Abdoulaye Diallo Daouda -, quindi non possiamo prendere una decisione che potrebbe indebolire o contrastare i dettami dell’Islam. Questa misura però è fondamentale per combattere la minaccia di un terrorismo che mette in discussione la pacifica convivenza».

Secondo quando affermato dal ministro, da più di un anno il Senegal sta lavorando alla prevenzione e al contrasto del terrorismo sia all’estero sia all’interno dei suoi confini. La strategia adottata dal Governo di Dakar fa perno sull’intelligence, in collaborazione sia con i Paesi occidentali (come Stato Uniti e Francia), sia con i Paesi della regione (Guinea, Guinea Bissau, Mali e Mauritania). «All’interno dei nostri confini – ha concluso il ministro -, la polizia, la gendarmeria e l’esercito stanno lavorando per avere più informazioni in merito a questo nuovo fenomeno. Un fenomeno che dobbiamo contrastare con forza perché colpisce tutti in modo indiscriminato».

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