Giovanni Pross | «Soprattutto non inviateci tamponi»

di Pier Maria Mazzola

Fra le tante e diversificate reazioni al paventato dilagare del virus in Africa, registriamo anche queste, raccolte nella Repubblica democratica del Congo.

Non c’è niente di più naturale, in Africa, di vedere una donna col bambino incollato dietro la schiena, la testa dondolante per il sonno e il calore. Altre situazioni naturali sono i mercati sempre affollati, mani che toccano ogni genere di merce e soldi meritevoli solo di un passaggio in lavatrice; strette di mano che durano minuti, quasi ci si invitasse a camminare insieme per ore; taxi-bus da 9 posti con 20-25 persone a bordo; taxi-moto con due, tre persone appiccicate le une alle altre…

E se arrivasse?

E se il coronavirus arrivasse laggiù? Come dire alla gente di restare a casa, ammesso che una casa come la intendiamo noi esista? Come far cessare degli atteggiamenti innati? E poi il cibo, che va procurato ogni giorno per mancanza di frigoriferi, o di corrente, o di carburante se hai un generatore, come conservarlo? Ma soprattutto, come far fronte a dei casi certi, in strutture sanitarie quasi inesistenti?

Purtroppo il coronavirus ha incominciato il suo soggiorno anche in Africa. Sono in contatto con amici e confratelli del Congo RD e, sia pure con la pochissima conoscenza di questo nuovo e triste evento, mi dicono che nella capitale Kinshasa ci sono già stati dei decessi e il numero dei contagiati è di qualche centinaio.

Come lo si percepisce? La mia impressione, dalle poche e incerte notizie ufficiali, è che non si abbia l’idea della reale portata distruttrice di questo virus. Siamo stati colti impreparati noi, qui in Europa, è normale che nella situazione generale dell’Africa, ci si trovi doppiamente spiazzati e impotenti.

Le reazioni

Da una decina di giorni il presidente Tshisekedi ha fatto chiudere le scuole di ogni genere e grado, e tutti i luoghi di culto. In seguito ha chiuso tutte le vie d’uscita dalla capitale verso l’interno del Paese (aeroporti, porti, strade…) e questo ha fatto aumentare i prezzi dei generi alimentari al di là di ogni previsione. Si sono susseguite azioni di sciacallaggio in abitazioni abbandonate da stranieri. Il governo allora ha ritenuto opportuno allentare le misure precedenti.

Il cardinale di Kinshasa, l’arcivescovo Fridolin Ambongo, ha chiesto al governo stesso di essere più preciso e coerente, e di assumere posizioni atte a salvaguardare la popolazione.

Ultima notizia, del 1° aprile: Il presidente chiede con autorità a una nuova azienda farmaceutica stabilitasi nella capitale Kinshasa di produrre senza sosta la clorochina, farmaco antimalarico ormai sostituito da nuovi ritrovati, perché sembra che in alcuni casi sia valido nella cura del coronavirus (In Francia si è accesa una forte polemica attorno all’utilizzo di questo farmaco).

Tuttavia, soprattutto in questi casi, si nota la spaccatura a livello culturale, di infrastrutture, di possibilità di comunicazione, di capacità di reazione tra la città e l’immenso territorio dell’interno del Paese. Il governo sembra assolutamente sprovvisto di ogni mezzo per far fronte ad una pandemia dalle proporzioni europee. C’è chi dice che la lotta all’ebola si possa considerare una preparazione alla lotta contro il coronavirus. Ma l’esperienza tocca l’interno e non le grandi città…

Completamente dipendente dalle Caritas extra-africane, la Chiesa cattolica non sarebbe tecnicamente in grado di operare efficacemente in questo momento e in questo contesto.

Piove sul bagnato…

Ma, attorno a queste notizie “ufficiali”, ci sta una fioritura di credenze, di affermazioni, di nuovi atteggiamenti, di invenzioni strane. Un amico mi riporta che nelle strade di Kisangani (terza città del Congo) si dice che la pandemia del coronavirus sia una lezione che Dio sta dando all’Occidente per certi peccati che commette; che l’Africa si salverà grazie all’ampiezza della sua religiosità.

A questo proposito, i sedicenti pastori continuano ad invitare la gente via radio e tivù a pregare senza tregua, e a dare offerte via telefono. Reclamano la riapertura delle diverse chiese-sette, proprio perché in questo momento è necessario aumentare il ritmo di preghiera.

Si cerca di ricorrere a piante ed erbe medicinali nella speranza di trovare qualche rimedio. Sta crescendo una propaganda atta a rifiutare qualsiasi vaccino: qualcuno pensa infatti che il vaccino potrebbe essere portatore del virus stesso… Infine un altro amico, in tono ironico, mi ha detto: «Soprattutto non inviateci tamponi». Quasi a non voler sapere di cosa si debba morire.

Sono poche le notizie certe. È difficile avere conferme dei reali casi di contagio. La cosa certa è che se il virus prende piede seriamente in Africa, la catastrofe non sarà misurabile. Piove sul bagnato…


Giovanni ProssGiovanni Pross, missionario dehoniano nella Rd Congo, per SettimanaNews.

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