Dal Madagascar un bel film di denuncia sociale

di Marco Trovato

È un evento raro riuscire a vedere un film prodotto e realizzato in Madagascar. Il documentario Morning Star è una piacevole sorpresa, un lavoro di denuncia poetico e suggestivo, che ci proietta su una spiaggia sacra e inviolabile, protetta dai pescatori locali e minacciata da un devastante progetto di estrazione mineraria.

di Annamaria Gallone

Ci sono film che non sono mai apparsi nelle sale internazionali perché la produzione cinematografica del loro Paese è quasi inesistente: solo grazie ad alcuni Festival attenti alle piccole, piccolissime produzioni, riescono a salire anche loro alla ribalta.

Uno di questi Festival è l’IDFA, l’International Documentary Film Festival di Amsterdam, che nell’ultima edizione ha selezionato un documentario del Madagascar, Morning Star.

L’unico regista finora conosciuto internazionalmente è Raymond Rajaonerivelo, autore di Quando le stelle si incontrano e Tabataba, due film ricchi di poesia.

Prima di lui, per trovare un film realizzato da un malgascio, dobbiamo tronare al 1937, per scoprire il documentario di 22 minuti in bianco e nero Rasalama, il martire, realizzato dal decano Philippe Raberojo, che poté fruire di una camera 9,5 mm fornitagli dai francesi, ma non riuscì a completare l’opera. Negli anni seguenti il Madagascar fu tormentato a diverse crisi politiche, fino ad arrivare nel 1960 all’indipendenza, ma la fase postcoloniale fu ancora molto difficile. Come in molti altri Paesi africani, i pochi cinema furono trasformati nelle chiese di varie sette e dell’industria cinematografica non rimase nulla. Fino ad oggi non c’è una vera sala cinematografica e l’unica realtà esistente è Rencontres du Film Court Madagascar (RFC), creata nel 2006

il trailer del film Morning Star

E qui arriviamo al lungometraggio che ha visto la luce nel 2020:

Morning Star, la stella del mattino, di Nantenanaina Lova, un documentario di 77 minuti che parla di Andaboy, una spiaggia sacra nel sud-ovest del Paese. Secondo un’antica tradizione, la spiaggia è intoccabile e lo conferma cantando anche uno sciamano caduto in trance.

I poveri pescatori conducono un’esistenza molto travagliata, perché i pescatori cinesi li privano al largo di un’enorme quantità di pesce, ma la situazione si aggrava, perché una compagnia australiana vuole costruirvi un porto, il che significa allontanare da quelle spiagge 8.000 residenti che sarebbero privati della casa e del lavoro. Ad essere danneggiati sarebbero anche gli abitanti dell’entroterra, che sopravvivono costruendo le canoe per i pescatori. E a loro volta sono minacciati da una novità funesta: un progetto su larga scala di estrazione mineraria. Attivisti si mettono in moto per difendere i loro diritti, anche se l’oppressione delle compagnie straniere sarà difficile da vincere.

La battaglia continua e il pescatore Edmon ha battezzato la sua canoa Aza Kivy: non molliamo.

Ancora una volta il cinema ribadisce il suo compito sociale, come ai tempi di Sembene Ousmane e Soulemaye Cissé, ma il film, pur non completamente riuscito, ha anche molti momenti poetici nei dettagli del quotidiano dei pescatori e nella loro originale, suggestiva musica.

L’autrice, Annamaria Gallone, tra le massime esperte di cinema africano, terrà a Milano l’8 e 9 maggio 2021 il seminario Schermi d’Africa dedicato alla cinematografia africana. Per il programma e le iscrizioni clicca qui

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