Come Barbie in Africa

di Marco Trovato

Il blog Barbie Savior si prende gioco dei volontari occidentali impegnati in attività umanitarie in Africa, accusati di pavoneggiarsi come i salvatori dei poveri

Corey viene dagli Stati Uniti, Emily dalla Gran Bretagna. In comune hanno i capelli biondi, gli occhi azzurri… e una passione smisurata per i bambini neri. Bimbi da aiutare, bimbi da ostentare. Le due ragazze, volontarie di un’associazione di ispirazione cristiana, hanno deciso di trascorrere un’estate all’insegna dell’impegno umanitario in un Paese non precisato dell’Africa. Trascorrono il loro tempo coi bambini del villaggio in cui sono giunte con le loro valigie zeppe di giochi, vestiti sgargianti, profumi griffati e cose inutili. Giocano coi piccoli, li coccolano, li viziano, li fanno divertire. E li fotografano assieme a loro. Ogni giorno, pubblicano uno scatto sui propri profili social. Per vedere le immagini andate a vedere Barbie Savior, un blog che si prende gioco dei volontari bianchi in Africa.

Volontarie, in questo caso, raffigurate come due Barbie, le bambole più famose e glamour del mondo (ma ogni tanto compare anche un volontario con le sembianze di Ken). Così vengono visti dai curatori del blog – e da molti altri africani – i giovani “impegnati” dell’Occidente impegnati in attività caritatevoli nel continente africano. Giovani di buona volontà, ispirati talvolta da nobili intenzioni, ma irrimediabilmente contagiati dal cosiddetto “White Savior Complex” (“complesso del Salvatore Bianco”): la malattia culturale che porta a percepirsi come il buon samaritano in un mondo – quello africano – selvaggio, arretrato e disperato.

Nei momenti di relax le due volontarie-barbie usano il tempo per scattarsi dei selfie in mezzo alla savana vestite da esploratrici, o per tatuarsi la sagoma dell’Africa sul proprio petto, vicino al cuore. Un racconto per immagini caustico e irriverente, politicamente scorretto, che attacca il pietismo e un certo autocompiacimento ostentato dai giovani occidentali… Anche quelli più sensibili e volenterosi. E che riflette come uno specchio impietoso l’immagine che molti africani associano ai volontari bianchi “desiderosi di alleviare la sofferenza dei poveri, e di mostrarsi come i loro salvatori”. C’è da indignarsi o da rifletterci?

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