Città contro campagne? L’Africa sospesa…

di Marco Trovato

La gran parte delle grandi città africane è stata fondata in epoca coloniale e per lungo tempo gli agglomerati urbani hanno incarnato nell’immaginario collettivo i simboli del degrado dei valori della tradizione rurale. Al contrario, i villaggi hanno rappresentato i luoghi dell’autenticità e delle radici. Ma la contrapposizione tra città e campagne oggi non è più così forte….

Natura contro civiltà, tradizioni contro modernità, legami sociali contro emancipazione e opportunità economiche: la diatriba fra città e campagna è vecchia quanto l’uomo, tanto da essere un tema presente nelle favole e nei poemi classici, da Orazio in poi.

In Africa sub-sahariana seppure le città esistano da sempre, l’urbanizzazione di massa è un fenomeno relativamente recente e questa eterna conflittualità fra due mondi opposti emerge con ancora più forza.

Negli anni ’50 e ’60 ad esempio, il mondo della città era visto da moltissimi intellettuali come luogo fisico della corruzione portata dal colonialismo e della dispersione dei valori morali tradizionali ancora presenti nei villaggi e nelle aree rurali.

Un romanzo classico come “Jagua Nanà” del nigeriano Ekwensi indugia sulla prostituzione e la decadenza morale della Lagos negli anni ’50 mentre negli stessi anni Abdoulaye Sadji con il suo “Maimouna” mette in scena l’intero processo di distruzione della protagonista dopo il trasferimento dal villaggio a Dakar.

Mongo Beti sarà ancora più esplicito, intitolando il suo romanzo manifesto contro il colonialismo “Ville Cruelle”: una città crudele in cui i soprusi e le ingiustizie prendono forma e trasformano la vita del giovane protagonista Banda.

Per decenni le città africane, spesso fondate dalle potenze coloniali stesse, sono state percepite e dipinte come l’incarnazione dei mali passati e contemporanei, uno specchietto per allodole fittizio rispetto ai solidi valori tradizionali della vita rurale.

Una contrapposizione netta che in epoca coloniale poteva avere un riscontro ma che dalle indipendenze in poi ha perso forza, complice l’esodo incessante e continuo verso le aree urbane e il vertiginoso ricambio generazionale.

Un confine fra due mondi che si fa sempre più sfumato e impercettibile, un gioco delle parti in cui la campagna rincorre la città e la città rincorre la campagna.

Non è raro imbattersi in ragazzini di un qualsiasi villaggio sperduto che per sentirsi “alla moda” sostengono di provenire dalla capitale, ma allo stesso tempo è possibile fermare un passante in città e chiedergli da che villaggio proviene ottenendo una risposta pronta e accompagnata da un sorriso sincero: fa sempre piacere parlare delle proprie origini.

I viaggi al villaggio della propria famiglia sono più frequenti di quanto si possa pensare, principalmente per celebrare riti religiosi, matrimoni o funerali, mentre sempre più diffusa è la raccolta di fondi per finanziare la costruzione di scuole o piccole infrastrutture nelle comunità di origine.

Se in città si perdono, nel bene e nel male, molti dei valori classici della vita tradizionale e di villaggio è altrettanto vero che il cordone ombelicale che lega gli “emigrati” alle loro radici rurali difficilmente viene reciso completamente, almeno per un paio di generazioni.

Secondo Jean Marc Elà, molti “cittadini africani” di oggi vivono in megalopoli irte di grattacieli, trascorrono in auto gran parte della loro giornata, comunicano al cellulare con parenti emigrati in altri continenti ma sono rimasti dei “Ruraux de coeur”, “rurali nell’animo”: sarà vero? E per quanto tempo?

Federico Monica, autore dell’articolo, sarà relatore del seminario, organizzato dalla rivista Africa, “L’Africa delle città”, in programma a Milano e in streaming il 27 e 28 marzo 2021. Per info e prenotazioni, clicca qui

Foto sopra, tratta dalla mostra Africa in Volo, di Davide Scagliola: nei dintorni di Djenné, Mali, il deserto germoglia all’improvviso. Come un’onda di vita, il verde avanza sulla pianura riarsa dal sole. La stagionale esondazione delle sue acque nel Delta interno del Mali arricchisce il suolo di sostanze nutritive e trasforma le brulle terre circostanti in campi coltivabili e floridi pascoli.

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