Arcivescovo fitoterapeuta, la lotta al covid di mons. Kleda

di Celine Camoin

Il Camerun sta registrando un lieve aumento delle trasmissioni del coronavirus, ma non è ancora entrato nella terza ondata della pandemia. Per contrastare il covid-19 e i suoi sintomi, le autorità sanitarie hanno vagliato diversi protocolli, che vanno dalla vaccinazione, all’assunzione di farmaci allopatici, alla medicina tradizionale africana, di cui soltanto due giorni fa si è celebrato la Giornata, sancita dall’Oms.

Uno dei protocolli merita un’attenzione particolare: a maneggiare con brio l’arte della fitoterapia, fino ad ottenere una mistura ormai ufficialmente riconosciuta come adiuvante per la cura del covid-19, non è altro che l’arcivescovo di Douala, monsignor Samuel Kleda.

Monsignor Kleda ha ricevuto l’iniziazione alla fitoterapia in famiglia fin dalla prima giovinezza. Suo padre faceva parte di quel circolo molto ristretto delle persone che curano con le piante. Ha poi potuto approfondire le conoscenze quando è stato vescovo di Batouri, nel Camerun orientale, dove i nativi –maka e pigmei – della grande foresta equatoriale sono rinomati per la conoscenza delle proprietà delle piante, e dove le popolazioni si curano essenzialmente con la medicina naturale tradizionale”, spiega ad Africa Suor Paule Valérie Mendogo, religiosa camerunese della Congregazione delle Serve di Maria di Douala.

Sono ormai trent’anni che Mons. Kleda, nato nel 1959 nell’Estremo Nord, cura le persone. In Camerun, la sua fama da fitoterapeuta equivale quella da arcivescovo di Douala, un incarico che ricopre dal 2009. Nel 2020, allo scoppio della pandemia di nuovo coronavirus, l’arcivescovo si è messo a studiare quali piante potevano avere proprietà in grado di temperare effetti possibili della malattia.

Ha riunito foglie, corteccia e radici che curano la malaria, piante con proprietà antinfiammatorie, antiossidanti o anticoagulanti, in base alla sua esperienza sui sintomi del covid-19. Ha anche seguito le tracce della terapia testata dal dottor Didier Raoult – microbiologo di fama mondiale e ormai ex direttore dell’Istituto ospedaliero universitario-Mediterranée Infection di Marsiglia – stabilita come protocollo in Camerun (mentre in Francia è stata vietata dalle autorità sanitarie, Ndr) composta da una miscela di clorochina e azitromicina, vitamina C, zinco e altri antiossidanti.  “Tutto a base di piante naturali ben dosate e senza effetti collaterali”, specifica Suor Mendogo. Ed è proprio nel laboratorio ubicato presso la sede del vescovado di Douala, che il presule, aiutato da alcuni religiosi, laici, distribuisce i flaconi di Adsak Covid, il nome dato alla pozione.   “Ad un certo punto, la domanda era talmente elevata che è dovuto circondarsi da altra gente per aiutare”, spiega ancora la nostra interlocutrice, attualmente dottoranda in Comunicazione presso l’Università di Douala. In un primo momento, i flaconi erano distribuiti gratuitamente a coloro che presentavano un test positivo al covid-19. Successivamente, visto il bisogno di reperire e di comprare le piante necessarie alla fabbricazione, è stato inserito un prezzo di vendita.

Lo scorso 8 luglio, il ministero della Sanità ha comunicato l’autorizzazione dell’Adsak come “adiuvante della cura” contro il covid, dopo che il fascicolo  ha ricevuto parere favorevole dalla Commissione nazionale del farmaco, riunita nella seduta dal 17 al 19 maggio 2021.

“In Camerun, la medicina tradizionale ha sempre avuto un posto di rilievo, nonostante l’abilità della medicina moderna. L’uso delle piante medicinali è aumentato in particolare con l’inizio della pandemia. Abbiamo visto che ogni famiglia ha le proprie piccole composizioni, accanto alle tre pozioni ufficialmente riconosciute dallo Stato camerunese come coadiuvanti del covid-19”, precisa la nostra interlocutrice.

“Questi rimedi tradizionali – aggiunge –  stanno dimostrando il loro valore, e in Camerun, professionisti ed esperti in erboristeria si stanno organizzando per mettere in comune le loro conoscenze per offrire al pubblico cure più efficaci per le malattie che li colpiscono”.

Il punto di partenza della fitoterapia nero-africana sta nei principi attivi di alcune piante aventi effetti farmacodinamici o terapeutici. “Nulla a che vedere con il magico-religioso, alla stregoneria e al paranormale”, tiene a sottolineare suor Paule Valérie. Si tratta di una disciplina molto seria, dove i farmaci vengono prodotti sulla base della conoscenza delle virtù naturali di radici, foglie e corteccia. I fitoterapeuti sono solitamente introdotti a questa conoscenza, che è vasta e varia a seconda delle regioni e delle loro piante specifiche. Talvolta è un’eredità di famiglia, a volte molto riservata, e insegnata solo attraverso una lunga e accurata iniziazione, proprio come quella ricevuta da Monsignor Samuel Kleda .

(Céline Camoin)

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