Uganda, il pallone dietro le sbarre

di AFRICA

Nel carcere di massima sicurezza di Luzira, a Kampala, alcuni dei più temibili criminali ugandesi si sfidano in una competizione calcistica che regala sempre emozioni e colpi di scena. Le squadre favorite per il prossimo scudetto? Manchester e Liverpool…

Le scommesse vengono raccolte durante l’ora d’aria, di nascosto, perché in teoria sarebbero vietate. I bookmaker puntano tutto sulla vittoria finale del Manchester United, che viene offerta a 1,2, mentre l’ipotetico successo del Liverpool viene quotato a 3,5. Barcellona e Juventus sono considerate due outsider, fuori dai giochi. Ma le previsioni della vigilia non sono così attendibili perché il campionato di calcio di Luzira riserva inaspettati colpi di scena. «I giocatori più forti vengono contesi dalle squadre fino a poco prima del fischio d’inizio – racconta un allibratore –. A volte un calciatore decide di cambiare team, e passare nelle fila degli avversari, solo perché gli hanno promesso una razione di cibo più ricca… Il calciomercato, qui dentro, non si misura in milioni di euro, ma in scodelle di porridge e polenta».

Pessima fama

Luzira è un carcere di massima sicurezza situato alla periferia della capitale ugandese, Kampala. Fu costruito negli anni Venti del secolo scorso dai coloni quando questa parte dell’Africa era un protettorato britannico. Per lungo tempo il suo nome è stato associato a un terrificante luogo di punizione: qui i prigionieri venivano sottoposti a umiliazioni, sevizie e torture.

Le condizioni carcerarie peggiorarono dopo l’indipendenza conquistata nel 1962, in particolare sotto la dittatura di Idi Amin, durante la quale i dissidenti venivano prima arrestati e poi fatti sparire nel nulla. Solo alla fine degli anni Novanta le autorità penitenziarie introdussero una serie di misure che nel corso degli ultimi vent’anni hanno migliorato sensibilmente la qualità del regime carcerario. «Sono stati adeguati gli spazi per tutelare le condizioni psico-fisiche dei detenuti – spiega Wilson Magomu, responsabile della sorveglianza –. Soprattutto, è stato bandito ogni genere di abuso da parte degli agenti di guardia, come l’uso preventivo della violenza, che in passato aveva prodotto tensioni e favorito lo scoppio di sommosse».

Clima disteso

Oggi Luzira è diventata una prigione modello. Benché sia spesso sovraffollata (accoglie fino a settemila reclusi: oltre quattro volte la capienza massima per cui è stata progettata), e malgrado ospiti alcuni dei peggiori criminali dell’Uganda, essa garantisce diritti individuali e standard di vita impensabili in gran parte delle galere africane. «Offriamo e chiediamo rispetto – chiarisce Magomu –. I detenuti qui vengono “responsabilizzati”, ovvero coinvolti nella gestione e nell’organizzazione dello spazio e del tempo». L’obiettivo della direzione penitenziaria è combattere l’apatia, valorizzare al meglio il periodo detentivo, creare un clima disteso e collaborativo. Ciò permette di contenere il rapporto tra sorveglianti e prigionieri (il venti per cento in meno della media europea) e al contempo offre risultanti incoraggianti sul lungo periodo: il tasso di recidiva, ovvero di quanti tornano a delinquere dopo essere scarcerati, è inferiore al 30 per cento (in Italia supera il 60 per cento).

Fascino british

A Luzira – grazie anche alla collaborazione di ong, Chiese, agenzie umanitarie – sono stati avviati numerosi programmi finalizzati alla riabilitazione sociale dei carcerati: percorsi educativi (dall’alfabetizzazione all’università) e ricreativi (corsi di teatro, musica, pittura, scultura), stage formativi, opportunità di integrazione lavorativa, attività atletiche e competizioni agonistiche.

Il campionato di calcio è il fiore all’occhiello tra le manifestazioni sportive organizzate all’interno delle mura carcerarie. Si svolge regolarmente oramai da quindici anni in un settore del penitenziario noto come “Boma A”: qui si trova l’unico campo da gioco della prigione, un rettangolo di terra battuta, con poca erba e tante buche, che abitualmente viene usato dai detenuti per sgranchirsi durante l’ora d’aria. Al campionato partecipano dieci squadre, la gran parte delle quali prende a prestito i nomi delle più blasonate società calcistiche inglesi. Non è un segreto che le partite di Premier League, trasmesse ogni settimana dalle tivù satellitari, siano seguitissime in Uganda.

Aria di derby

La prima squadra nata all’interno del carcere è stata il Liverpool: fu fondata nel 2000 da una dozzina di ex soldati baganda (del gruppo etnico maggioritario e più potente dell’Uganda a livello politico), finiti in prigione per una rapina a mano armata… conclusasi evidentemente male per loro. Ancora oggi il Liverpool gode di importanti finanziamenti (più o meno occulti), grazie a una rete di conoscenze “influenti” fuori dal carcere, che gli garantiscono validi giocatori e divise impeccabili. È considerata la squadra dell’establishment, in contrapposizione agli eterni rivali del Manchester, nelle cui fila giocano detenuti appartenenti a etnie minoritarie, originari delle province più povere ed emarginate del Paese.

La maggior parte dei detenuti tifa per Liverpool e Manchester, motivo per cui, ogni volta che il calendario prevede un match tra queste due squadre nel carcere, si accendono passioni e tensioni tipiche di un derby. Ma ci sono altre rivali agguerrite che aspirano a vincere lo scudetto di Luzira: Arsenal, Newcastle United, Aston Villa, Everton…

Guardie e ladri

Ogni squadra ha un proprio presidente, un allenatore, un preparatore atletico, un massaggiatore, un segretario, un magazziniere, un tesoriere, un responsabile del calciomercato e un direttore commerciale (ovvero chi si occupa di cercare sponsor per migliorare il vitto dei giocatori e rafforzare la formazione).

Alcune équipe hanno storie e caratteristiche singolari: il Barcellona, per esempio, è stato fondato nel 2009 da un uomo d’affari di Kampala, innamorato del “tiki taka” dei catalani, finito in carcere (per un paio di anni) con l’accusa di corruzione e bancarotta fraudolenta. Il Chelsea è storicamente la squadra dei più giovani, talenti in erba, spavaldi e grintosi, che hanno avuto i primi problemi con la giustizia quando erano ancora minorenni. Nel Leeds giocano le guardie penitenziarie, che, pur godendo di ampi privilegi (spazi riservati per allenarsi, ricchi sponsor per uniformi e scarpe, un regime alimentare perfetto), faticano a imporsi sul campo. Nella Juventus, invece, militano soprattutto scippatori e piccoli malviventi. «Fuori e dentro il campo restano una squadra di ladri», sghignazza un detenuto di nome Donald che deve scontare altri cinque anni di prigione per “contrabbando” e non nasconde simpatie interiste. «Sono diventato un supporter nerazzurro ai tempi del triplete, quando ho visto in televisione José Mourinho fare il gesto delle manette».

Tifo disciplinato

I tifosi seguono le partite con grande partecipazione ai bordi del campo. Per regolamento non possono indossare le magliette delle proprie squadre, ma sono obbligati a vestire le casacche delle prigione: di colore giallo canarino per chi è stato condannato con pene inferiori ai vent’anni di reclusione, di colore arancione per chi ha commesso i delitti più gravi (i condannati a morte, distaccati in una sezione speciale del carcere, indossano delle bluse bianche, gli psichiatrici delle tute verdi, mentre chi ha tentato di evadere viene contrassegnato con una fascia di colore rosso). L’effetto cromatico del pubblico assiepato attorno al campo ricorda una coreografia da stadio. I detenuti incoraggiano a gran voce i giocatori della propria squadra, si lasciano andare a qualche sfottò in occasione di clamorosi errori di gioco, ma tengono sempre un comportamento composto e sportivo. Nessuno offende gli avversari o impreca contro gli arbitri. Cori e bandiere sono consentiti solo alle finali. «La disciplina è fondamentale per garantire la sicurezza a il regolare svolgimento del campionato», spiega Opio Moses, presidente della Upsa (Upper Prison Sport Association), l’organismo autogestito dai reclusi che gestisce la competizione.

Norme severe

Moses è incarcerato da una decina di anni per un delitto passionale, ma all’interno di Luzira tutti lo conoscono per essere uomo distinto, pacato e irreprensibile. «Il mio compito è anzitutto far sì che la libertà e la fiducia accordataci dalla direzione del carcere non vengano tradite. Ci siamo dati delle regole ferree per garantire che il campionato rimanga anzitutto un’opportunità di svago, una festa di sport. Le squadre sono responsabili dei comportamenti dei propri tifosi; in caso di intemperanze vengono penalizzate in classifica. In campo viene bandito ogni genere di rimostranza e comportamento sleale. Per evitare episodi di corruzione gli arbitri sono tutti incensurati ed entrano in carcere solo in occasione delle partite. Al termine di ogni incontro compilano i referti e ogni settimana i giudici sportivi emettono i loro verdetti – squalifiche e penalizzazioni –, che non prevedono la possibilità di riscorsi».

In palio, a fine torneo, c’è un trofeo da alzare e una capra da macellare e dividere tra i compagni di gioco. Ma soprattutto c’è il prestigioso titolo di “campioni di Luzira”.

Fuori gioco

Il campionato inizia tra un paio di settimane, in questo periodo le squadre cercano di rafforzare le proprie rose di giocatori. Come si diceva, è il rancio l’unica moneta consentita per il calciomercato (oltre alle immancabili sigarette di contrabbando). Tocca ai talent-scout individuare e selezionare i calciatori più promettenti tra i novizi della prigione. «Non importa il motivo per cui finisci qui dentro, contano solo i tuoi piedi», dice un detenuto di nome Ernest che ricopre il ruolo di osservatore per conto del Manchester. «Puoi essere un farabutto, il peggiore dei malviventi, ma se ci sai fare con la palla ogni squadra vorrà ingaggiarti e farà il possibile per convincerti a indossare la propria maglia».

Il regolamento permette di tesserare da un minimo di sedici fino a un massimo di venticinque calciatori. Gli allenatori preferiscono iniziare il campionato con panchine affollate di riserve. Durante la stagione delle piogge il campo diventa una piscina fangosa e gli infortuni sono frequenti. E poi un giocatore potrebbe rendersi improvvisamente indisponibile, in caso di scarcerazione o trasferimento deciso dalle autorità. L’anno scorso, il bomber del Manchester – capocannoniere del campionato – ottenne uno sconto di pena per buona condotta e venne inaspettatamente rimesso in libertà proprio alla vigilia della finalissima. Quando gli comunicarono la notizia cominciò a piangere come un bambino: disperatissimo.

(testo di Agu Odoemene – foto di Frederic Noy / Cosmos / Luz)

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