Tanzania: l’isola degli albini

di AFRICA
Tanzania: l'isola degli albini

«Sono arrivati al mattino presto a bordo di un’imbarcazione a motore. Erano tre uomini di mezza età. Sono sbarcati sulla spiaggia di fronte alla nostra casa. Io ero uscito da poco per andare a pesca con un amico. Per fortuna mia moglie si è accorta di quel che stava per accadere e ha avuto i riflessi pronti: come li ha visti, ha preso la bimba che stava dormendo nel letto, è uscita dalla finestra sul retro dell’abitazione ed è fuggita per chiedere aiuto… Abbiamo sentito le sue urla e abbiamo cominciato a correre verso di lei; siamo arrivati appena in tempo per mettere in fuga i malviventi».

Così Mtobi Namigambo, giovane pescatore tanzaniano, racconta il dramma sfiorato solo poche settimane prima: il tentativo di rapimento cui è sfuggita sua figlia May Mosi, di appena quattro anni. «Ci siamo trasferiti su quest’isola per proteggerla. Qui, nel bel mezzo del lago, pensavamo di vivere al sicuro, non avevamo mai avuto problemi, ma oggi abbiamo di nuovo paura».

Carne da macello

La piccola May Mosi è affetta da albinismo, un’anomalia genetica caratterizzata dall’assenza di pigmentazione nella pelle, nei capelli e negli occhi. In Tanzania le persone che manifestano questo disturbo congenito – dovuto all’assenza di melanina – sono vittime di pregiudizi e persecuzioni. Fin da bambini subiscono angherie e maltrattamenti. Da adulti sono costretti ad accettare abusi e lavori sottopagati, finendo relegati ai margini della vita sociale. Le donne rischiano di venire violentate e contagiate dal virus dell’Hiv poiché è radicata la convinzione che il sesso con una persona albina possa curare l’aids. La superstizione, talvolta, condanna gli albini a una morte atroce e li trasforma in carne da macello: è infatti opinione diffusa che i loro organi e le loro ossa siano utili a realizzare talismani miracolosi in grado di assicurare ricchezza, felicità e fortuna.

Approdo sicuro

Le cronache dei giornali periodicamente riferiscono di episodi di albini rapiti da bande criminali, massacrati e fatti a pezzi per alimentare il mercato nero dei feticci umani. Per sfuggire a questa agghiacciante “caccia all’uomo bianco”, una decina di anni fa alcuni albini tanzaniani si rifugiarono a Ukerewe, l’isola più grande del Lago Vittoria, che a sua volta è il più grande lago d’Africa: ai loro occhi quel luogo isolato era apparso sufficientemente sicuro. Col passare del tempo, molti altri sono giunti sull’isola da ogni parte del Paese: alcuni di loro spontanea volontà, altri costretti a trasferirvisi dopo essere stati cacciati dalle famiglie o espulsi dai loro villaggi.

Oggi quest’isola incastonata nel cuore dell’Africa vanta una delle più alte concentrazioni di albini al mondo. «La nostra comu- nità è composta da un’ottantina di persone di ogni età – spiega Alfred Kapole, albino di Ukerewe –. Viviamo in armonia con il resto della popolazione locale. Non siamo ghettizzati come accade in altre parti della Tanzania. Qui abbiamo un lavoro, relazioni sociali, momenti di svago. I nostri figli vanno a scuola e giocano con quelli dei nostri vicini. Siamo tutti pescatori, poveri ma dignitosi. Tra noi c’è solidarietà, rispetto e mutuo soccorso». La reputazione di questa “isola felice” si è ben presto diffusa attirando molti altri albini in cerca di rifugio e di riscatto.

Non solo Tanzania

«L’unione fa la forza», dice Ramadhani Khalfan, portavoce della Ukerewe Albino Society. «Vivere assieme a persone simili, accomunate dalle medesime difficoltà, infonde maggiore sicurezza e serenità. E permette di trovare soluzioni ai problemi comuni».

Gli albini di Ukerewe si sono dotati di una clinica specializzata nella cura delle malattie della cute (il cancro della pelle è la prima causa di morte per gli albini africani, la cui aspettativa di vita non supera i 45 anni). Non solo: sull’isola c’è un ufficio legale che difende i diritti civili della minoranza “bianca”. «Ma le minacce arrivano dall’esterno – puntualizza Ramadhani Khalfan –. Chi vuole farci del male sa bene dove trovarci. E nell’ultimo periodo abbiamo subìto un’ondata senza precedenti di attacchi brutali». Le autorità tanzaniane sono impegnate, con un certo successo, a contrastare il fenomeno, che ha causato almeno 80 vittime negli ultimi quindici anni: decine di persone sono già state arrestate con l’accusa di aver partecipato a rapimenti e omicidi di albini. In carcere sono finiti trafficanti di organi (un arto di una persona albina può essere venduto a circa 600 dollari, mentre un corpo intero arrivava anche a 75.000) e presunti “stregoni” incolpati di aver diffuso le terrificanti credenze.

Ma l’epidemia di furore superstizioso è dilagata oltre i confini nazionali e la caccia agli albini si è propagata dall’Uganda al Bu- rundi fino al Malawi, dove quest’anno almeno 20 albini sono stati uccisi (in buona parte donne e bambini) e 5 sono ancora dispersi. In soccorso dei tanti albini che vivono nel terrore arriva l’appello della Ukerewe Albino Society: «Chiunque si trovi in pericolo o si senta minacciato è benvenuto sulla nostra isola. Qui possiamo imparare a difenderci e tornare a vivere in pace».

(testo di Irene Fornasiero – foto di Alida Vanni)

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