Sudan: una guerra senza pietà, nemmeno per i più piccoli

di claudia

di Maria Scaffidi

Il Sudan è dilaniato da ormai due anni da una guerra civile scatenata dalla bramosia di potere di due generali e alimentata dagli interessi geostrategici di potenze straniere. La drammaticità dei numeri e le stragi quotidiane dei civili non fanno notizia.

A ormai due anni dall’inizio del conflitto in Sudan, la drammaticità dei numeri passa quasi inosservata sulla scena internazionale. I dati più recenti dell’Alto Commissariato dell’Onu per rifugiati (Unhcr) parlano di oltre 12 milioni di persone che a causa delle violenze sono state costrette alla fuga.

A fronte di tassi di violenza sempre più elevati i civili cercano disperatamente sicurezza e protezione, sia in Sudan che nei paesi confinanti come Ciad, Egitto, Etiopia, Repubblica Centrafricana, Libia, Sud Sudan e Uganda.

Scomponendo i dati forniti dall’Unchr, sono 3,1 milioni le persone che hanno abbandonato il Paese; 686.000 i rifugiati che vivevano in Sudan e che sono stati costretti a tornanre nei rispettivi Paesi di origine da cui pure erano fuggiti; 8,6 milioni gli sfollati interni.

Il paese è di fatto spaccato in due. Una parte è controllata dall’esercito del generale Abdel Fattah al-Buhan, il cui quartier generale è a Port Sudan; l’altra parte è controllata dai paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) che rispondono invece a Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemetti.

Entrambi i contendenti godono di sostegni regionali e internazionali che stanno contribuendo di fatto ad alimentare il conflitto, e si dividono il controllo delle risorse strategiche del Sudan: l’oro, il petrolio (con gli oleodotti che arrivano dal Sud Sudan), la gomma arabica.

L’ultimo capitolo del confronto riguarda la possibilità che le Rsf istituiscano un governo parallelo nelle regioni sotto loro controllo. Nei giorni scorsi insieme ai loro alleati le Rsf hanno firmato una Costituzione transitoria, un passo che potrebbe portare alla formazione di un governo. Il documento delinea inoltre un sistema federale sulla base di otto regioni.

L’iniziativa, formalizzata con la firma di “una carta” in Kenya, ha suscitato critiche internazionali. Il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha avvertito che questa decisione potrebbe intensificare il conflitto civile.

La comunità internazionale chiede un ritorno a un governo civile. Il Regno Unito, tramite il ministro degli Esteri, David Lammy, ha annunciato una conferenza ad aprile per sostenere una soluzione pacifica.

Nel frattempo, gli scontri proseguono. Mentre le forze armate sudanesi avanzano per riconquistare Khartoum, le Rsf continuano l’offensiva su El-Fasher, nel Darfur settentrionale, causando il blocco degli aiuti umanitari.

A pagare il tributo più significativo di instabilità e violenze sono i civili. Nei giorni scorsi, un rapporto dell’Unicef ha denunciato l’uso sistematico della violenza sessuale anche contro i minori. La violenza sessuale di massa è stata a lungo citata come arma di guerra nel conflitto, ma il documento dell’Unicef documenta per la prima volta la gravissima portata del fenomeno. Un terzo delle vittime sono ragazzi, i quali incontrano difficoltà nel denunciare gli abusi e nel ricevere assistenza.

Dal gennaio 2024, sono stati segnalati ufficialmente 221 casi di stupro su minori, ma il numero reale è molto più alto, nascosto dalle nebbie della guerra, dallo stigma sociale che ricade sulle vittime e dall’impossibilità di verificare sul campo la situazione.

Condividi

Altre letture correlate: