Sudan: medico di Emergency, “le ragioni per restare a Khartoum

di claudia

di Simona Salvi

Il conflitto in corso a Khartoum, in Sudan, ha portato “a una riduzione molto importante delle attività” del Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency a Khartoum, “perché abbiamo dovuto evacuare molti colleghi dello staff internazionale e perché molti colleghi sudanesi sono scappati da Khartoum”. Tuttavia, ha raccontato ad Africa Rivista Elena Giovanella, anestesista responsabile della terapia intensiva del centro, “noi siamo rimasti, perché se fossimo andati via, anche lo staff nazionale avrebbe lasciato il centro e non ci sarebbe più stata alcuna speranza per i nostri pazienti di avere un supporto medico”.

Giovanella ha spiegato che il Centro Salam si trova “lontano dai luoghi degli scontri, a circa 30 chilometri, in una zona lungo il Nilo dove ci sono quartieri perlopiù molto poveri”. Quindi nessun obiettivo strategico importante per l’esercito e le forze paramilitari che si combattono dal 15 aprile scorso. Tuttavia, ha ammesso, “quello che può succedere in futuro non lo possiamo sapere, e certamente temiamo per la nostra incolumità, ma quando 30 persone dello staff nazionale che dormono in ospedale ci hanno chiesto di rimanere, di tenere aperto l’ospedale, non ce la siamo sentita di lasciarli da soli”. Al centro Salam, ha precisato, “abbiamo anche ancora quattro pazienti in terapia intensiva, di cui uno in gravi condizioni, un bambino di 13 anni dall’Uganda. E 30 malati del programma regionale, di cui nove in attesa di intervento, più tra parenti e traduttori 42 persone che stanno vivendo con noi nel compound di Emergency”. E “ogni giorno almeno una cinquantina di pazienti vengono a fare i controlli”.

Emergency è presente anche in due centri pediatrici a Port Sudan e a Nyala (Darfur), che “stanno funzionando”, mentre la clinica pediatrica di Mayo, a Khartoum, è stata chiusa. Anche l’impossibilità di evacuare le sei persone dello staff internazionale a Nyala, “perché non c’è nessun modo per farlo”, ha spinto i medici a rimanere a Khartoum.

Alla domanda se ci fossero stati segnali di quanto sarebbe accaduto, Giovanella, che opera in Sudan dal 2011, ha risposto: “Questa situazione non se l’aspettava nessuno. Sicuramente non è la prima volta che ci sono scontri a Khartoum, ma non c’è mai stata questa situazione con due forze militari che si stanno contrapponendo. Prima erano i civili che venivano attaccati. Adesso la città è terreno di battaglia tra due eserciti. Una situazione nuova e molto pericolosa per i sudanesi che vivono nelle zone interessate dal conflitto. La città ha un’enorme densità abitativa e gli scontri non prevedono l’evacuazione dei civili”.

“E’ la prima volta che i quartieri vengono bombardati – ha rimarcato – si tratta di una situazione nuova che ha terrorizzato la popolazione che non crede che finirà presto, perché dalle due parti non trapela l’intenzione di trattare. Per questo chi può è andato via, ma la maggior parte della gente non ha questa possibilità”. In questo momento, ha aggiunto, “sicuramente la popolazione è divisa tra le due parti in conflitto”, ma a fronte “della crisi economica importante in cui è precipitato il Sudan da quando è stato deposto l’ex presidente Omar al Bashir” nel 2019, con “il prezzo del pane che è centuplicato e un’inflazione fuori controllo, la gente chiede certezza”.

“La gente è a un punto di esasperazione totale – ha raccontato Giovanella – per cui qualsiasi cosa succeda è meglio dell’incertezza sul futuro. Adesso la cosa che la gente chiede è chiarezza, che gli scontri finiscano e che qualcuno possa prevalere sull’altro. Chiede la certezza di avere un futuro, perché questo gli hanno tolto. Non hanno più la speranza di un futuro, quando il Paese ha tutte le risorse per averlo, perché il Sudan è piombato in una crisi senza possibilità di ripartenza se non si stabilizza la situazione politica. Hanno bisogno di stabilità”.

Intervista a cura di Marco Trovato
Immagini del montaggio: Davide Preti e Ruptly
Condividi

Altre letture correlate: