Perle da salvare | Tombe in pericolo

di Enrico Casale
Baths at Abu Mena

Prosegue l’analisi dei siti africani dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’umanità che attualmente sono inseriti in una apposita lista che li dichiara in pericolo di sopravvivenza. Si tratta di riserve naturali e di luoghi culturali, che possono comprendere aree archeologiche o edifici storici e religiosi, minacciati dai comportamenti umani o dai cambiamenti climatici.

Molto spesso soltanto le tombe oggi restano a documentare il lungo cammino compiuto dall’uomo nel corso dei millenni. Tre situazioni africane che rischiano di cancellare questo assunto sono venute di attualità in Uganda, Mali ed Egitto. Tutto ciò che noi uomini del XXI secolo infatti conosciamo di civiltà pur eccezionalmente evolute come quella etrusca o quella dei faraoni, tanto per fare due clamorosi esempi, lo dobbiamo al culto dei morti che quei popoli praticavano senza risparmiare profondità di approcci culturali e senza lesinare l’impiego di straordinarie ricchezze.

In Africa ne è testimonianza appunto la civiltà egizia il cui patrimonio culturale rimastoci è ormai da almeno un paio di secoli oggetto di scavi, studi, continue scoperte e programmi per ottenerne una sempre più sofisticata conservazione. Sono tuttavia molti altri i beni culturali legati al culto dei morti che si trovano nel continente africano, ma che hanno sin qui goduto di ben poca attenzione a livello internazionale, sia per la scarsa conoscenza delle civiltà locali che li hanno prodotti, sia per la pochezza quantitativa dei resti, archeologici o meno, ad oggi rimasti. Per carità, nulla di lontanamente paragonabile per ricchezza materiale e implicazioni culturali con quanto ci è sopravvissuto della civiltà dei faraoni, ma qualcosa comunque di significativo, tanto che poco per volta negli ultimi vent’anni anche l’Unesco ha puntato su di loro e li ha catalogati come patrimonio dell’umanità tutta.

Le attenzioni loro riservate sono però ancora troppo scarse e così i tre siti figurano nella odierna lista nera dei luoghi che la stessa Unesco ha definito in pericolo di sopravvivenza. Ci riferiamo alle tombe dei Buganda Kings a Kasubi in Uganda, in elenco a rischio dal 2010, della tomba di Askia in Mali, in elenco dal 2012, e del sito di Abu Mena in Egitto, in lista dal 2001. Le tombe di Kasubi sono un sito che abbraccia quasi 30 ettari di collina all’interno di Kampala. La maggior parte del sito è agricola, coltivata con metodi tradizionali.

Al centro della collina si trova l’ex palazzo dei Kabakas di Buganda, costruito nel 1882 e convertito nel cimitero reale nel 1884. Quattro tombe reali si trovano ora all’interno del Muzibu Azaala Mpanga, l’edificio principale, a pianta circolare e a forma di cupola. È un importante esempio di realizzazione architettonica in materiali organici, qui principalmente legno, paglia, canna, canniccio e fango. Il significato principale del sito risiede, tuttavia, nei suoi valori intangibili di fede, spiritualità, continuità e identità. Questa è la scheda con cui l’Unesco identifica il luogo, la cui esistenza è messa a dura prova soprattutto dal fuoco. Giusto due mesi fa, il 5 giugno, è andata in fiamme appunto una delle case sacre che attorniano la località, ma danni ben più gravi alla tomba principale il fuoco li aveva arrecati esattamente 10 anni fa, motivo per cui l’organismo internazionale aveva definito in pericolo il sito sacro, dopo averlo considerato patrimonio dell’umanità allo scoccare del 2000.

Da allora, e precisamente sei anni fa, si è attivato il processo di ricostruzione, grazie al generoso intervento del Governo giapponese, con cui si è potuta anche effettuare una ricerca mirata sulle antiche tecniche e sui materiali da costruzione, nonché si è provveduto a migliorare i sistemi antincendio. Secondo l’Unesco ora va però messo in opera il piano regolatore urbanistico di zona al fine di uniformarlo alle decisioni prese per salvaguardare il sito e creare una zona cuscinetto, affinché le tombe non rischino di affogare nello sviluppo edilizio circostante delle periferie, spesso fuori controllo a Kampala, come peraltro nella maggior parte delle metropoli africane.

Il Regno del Buganda fu il più grande dei regni tradizionali dell’Africa orientale, ed è ancora vivo nelle tradizioni culturali odierne dell’ Uganda. Le tombe hanno portato con sé ai posteri anche una ricca collezione di manufatti e di costumi tradizionali con cui si celebravano quei riti funebri in cui le donne hanno sempre avuto un ruolo essenziale. Kasubi è ancora oggi il principale centro spirituale e simbolo culturale dei Baganda, garantendo la continuità di credenze che danno identità all’etnia, anche attraverso le forme architettoniche. La loro organizzazione spaziale riflette infatti la miglior tradizione e la migliore realizzazione dei procedimenti tecnici sviluppatisi nei secoli. L’edificio principale della tomba-palazzo, di dimensioni eccezionalmente vaste, è l’esempio migliore di una creatività artigianale viva sin dal XIII secolo. Intorno si sviluppa il cortile, che si raggiunge dopo aver superato il confine perimetrale originale segnato da alberi di ficus e da un corpo di guardia.

La tomba di Aksia a Gao, città del Mali, è un altro esempio di manufatto di estrema precarietà, per più di un motivo. Innanzitutto è fragile per sua natura, perché edificato con il fango e dunque minacciato dal prosperare degli eucalipti di cui è circondato e dalla fragilità del suolo bersagliato dalle piogge torrenziali di stagione. Inoltre la cronica povertà di risorse ne limita i lavori di restauro e valorizzazione , tanto più in questi ultimi anni, in cui il Mali intero è scosso dal terrorismo jidhaista e dai continui cambi di governo, di cui l’ultimo, compiuto dai militari attraverso un colpo di Stato, risale a poche settimane fa. Sono gli stessi problemi per colpa dei quali anche le città antiche maliane di Djennè e Tombouctou, sono soggetti considerati ad altissimo rischio di distruzione, con l’aggravante di essere località direttamente interessate dal passaggio dei mezzi blindati militari che scuotono le fondamenta di case e moschee, assediate dal degrado provocato da insediamenti provvisori e incontrollati.

La tomba ha forma piramidale e fu costruita con alla fine del Quattrocento, come parte principale di un complesso edilizio religioso islamico, di cui fanno parte anche due moschee, un piccolo anfiteatro e un cimitero. È sempre stata oggetto di pellegrinaggi perché si ritiene che qui vi sia sepolto Askia Mohamed I, ovvero il primo imperatore del regno di Songhay, che si sviluppò lungo il corso interno del fiume Niger per poi spostarsi verso Gao importando la religione islamica in zona. Il fango e la legna con cui è costruita la tomba sarebbero stati portati sul luogo dall’imperatore stesso al ritorno da un pellegrinaggio alla Mecca compiuto attorno al 1495, con il preciso scopo di farne i materiali per il suo mausoleo concepito come un’abitazione con molte camere e corridoi. L’Unesco non lo cancella dall’elenco dei siti a rischio perché non ritiene abbastanza robuste a tutelarlo le spalle delle missioni culturali che vi si sono avvicendate attorno, nonostante queste abbiamo dimostrato di aver saputo rimettere in sesto in nuovi locali l’interessante museo locale che documenta la storia e la vita dell’intero Sahel.

Il rischio di abbandono e degrado è anche quello che preoccupa gli esperti internazionali che monitorano il sito archeologico di Abu Mena nelle vicinanze di Alessandria d’Egitto, all’estremità Ovest dell’immensa foce del Nilo. Antichi cimiteri, con basiliche, edifici pubblici, strade e monasteri dell’antica città paleocristiana giacciono nell’incuria. Il pericolo maggiore viene dalla mancata gestione delle falde freatiche in seguito allo sfruttamento agricolo recente di questo territorio e dallo scorrimento incontrollato delle acque che hanno già provocato frane e minacciano di inghiottire ciò che resta anche della tomba del martire alessandrino Menas, da cui il nome del sito. Questi morì nel 296, e proprio alla sua santità si volle rendere omaggio costruendo questa città. La leggenda racconta che il dromedario che ne trasportava il corpo martirizzato improvvisamente si rifiutò di proseguire. I suoi accompagnatori si convinsero che questo era un segno divino indicante che la sepoltura dovesse aver luogo proprio lì. La basilica costruita sulla tomba verso il 350 determinò la nascita di pellegrinaggi imponenti sino a quando gli arabi la distrussero verso la metà del 600. Gli scavi archeologici iniziarono ai primi del ‘900. Vent’anni fa fu ritrovato il cimitero sotto l’area riservata all’accoglienza dei pellegrini.

(Mario Ghirardi)

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