Mario Giro ▸ La miracolosa scopa burkinabè

di Pier Maria Mazzola

Quattro anni fa, gli oltre cinque lustri di regime di Blaise Compaoré venivano “spazzati via” dalla “primavera” scesa nelle piazze delle città del Burkina Faso. Un caso esemplare, non unico in Africa, di capacità della società civile organizzata.

La vicenda senegalese di Y’en a Marre è forse la più articolata tra le organizzazioni della società civile africana attuale. Ma non l’unica. Un’altra success story del civismo africano è quella del Balai Citoyen del Burkina Faso, che ha saputo mobilitare giovani e studenti fino a far cadere il presidente Blaise Compaoré.

A differenza dell’effervescenza senegalese, in Burkina tutto sembra calmo, le città, la gente, le strade. In realtà si tratta di un Paese con una lunga tradizione “movimentista”. Il primo colpo di Stato, 1966, è una reazione all’insurrezione popolare dei sindacati contro il regime di Yaméogo accusato di corruzione e nepotismo. I militari si contendono il potere fino a che nel 1983 emerge Thomas Sankara, da allora consacrato dal mito. Per quasi cinque anni Sankara cerca di cambiare il Paese (a cui muta il nome: da Alto Volta in Burkina Faso, “Paese degli uomini integri”) adottando i dettami marxisti e maoisti. Viene ucciso durante un putsch diretto dal suo secondo, Compaoré.

Malgrado la durezza della sua politica, Sankara rimane ancora oggi leggendario per la sua austerità di vita, indipendenza e semplicità ideologica, sullo stesso piano di Lumumba, Cabral o Che Guevara. Al contrario, Compaoré è un pragmatico che guida con prudenza il Burkina – Stato saheliano e povero – nelle intemperie del liberismo, della globalizzazione e del terrorismo saheliano.

Anche se il Paese si stabilizza e acquisisce un suo status internazionale, a Compaoré non sarà mai perdonata la fine di Sankara, oltre che nepotismo e profitti illeciti. È inseguito anche dall’oscuro caso dell’omicidio del giornalista di opposizione Norbert Zongo, avvenuto nel 1998. A differenza di Sankara, non è mai stato amato, forse rispettato ma alla fine detestato. Nel maggio 2014 il presidente, forte di oltre 25 anni di potere, compie un gesto azzardato che fa da detonatore: cambiare la Costituzione per ottenere un ulteriore mandato.

La rottura con le giovani generazioni è immediata: a migliaia scendono in piazza, prima a Bobo-Dioulasso, la seconda città del Paese, poi a Ouagadougou, la capitale, e altrove. Tutti hanno in mano la scopetta africana fatta di rafia: è la nascita del balai citoyen che vuole “spazzar via” la corruzione e il nepotismo. È un crescendo fino ad ottobre, quando un milione di giovani è per strada a Ouagadougou al grido «touche pas à ma Constitution!» (“non toccare la mia Costituzione”). La stessa opposizione politica è presa alla sprovvista e tenta di cavalcare il movimento.

La riforma viene ritirata, ma i giovani vogliono ormai la partenza di Compaoré. Il 30 ottobre attaccano e incendiano il Parlamento, gli uffici della tivù, le sedi del partito al potere, le case dei potenti, ecc. Sovrastato dagli eventi, il 31 ottobre il presidente di dimette e abbandona il Paese. Balai Citoyen ha vinto, ma non entra nel governo: si costituisce come watchdog dei nuovi governanti al motto di: “Vigilare, organizzare la lotta, promuovere la coscienza civica”.


Mario Giro è docente di relazioni internazionali. Già viceministro degli Affari esteri e responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio. Esperto in mediazioni e facilitazioni nei conflitti armati, cooperazione internazionale e sviluppo, Africa, Medio Oriente e America Latina. Autore di vari saggi e collaboratore di numerose riviste, ha recentemente pubblicato per Mondadori La globalizzazione difficile.

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