Liberia: sulla cresta dell’onda

di AFRICA

Le spiagge di Robertsport sono un paradiso per chi ama scivolare sull’acqua e cavalcare le onde dell’oceano. Ma per i giovani locali il surf non è solo sport e divertimento: è un modo per coltivare la speranza.

«Oggi dovrebbero esserci delle onde perfette in una spiaggia non troppo lontana da qua». La parole di Alphanso Appleton, detto Fonzie, scuotono dal torpore una dozzina di ragazzi accampati alla sede della Liberian Surfing Association: in un attimo afferrano le tavole affastellate contro le pareti e si mettono in cammino.

Nella cittadina di Robertsport, un centinaio di chilometri a nord di Monrovia, capitale della Liberia, è una domenica qualunque: il bar sulla spiaggia trasmette a tutto volume la radiocronaca del campionato di calcio, i pescatori rammendano le reti sfilacciate, i bambini giocano per le strade sotto lo sguardo vigile delle madri che chiacchierano tra loro all’ombra di manghi e palme.

Alphanso, 24 anni, fisico scolpito come un culturista, guida la comitiva dei surfisti lungo uno stretto sentiero in mezzo alla foresta che nulla lascia intravedere. «Bisogna scarpinare un po’ per raggiungere le correnti migliori», esorta il gruppo che arranca nella boscaglia.

La mascotte della compagnia, Massaley Commey, 12 anni, regge a fatica una tavola troppo grande per lui. Alle sue spalle, lo incoraggiano Benjamin Mc Crumada, 25 anni, campione nazionale di surf, ed Elijah Browne, 17 anni, fuoriclasse della categoria Junior. Dopo quaranta minuti di camminata, la selva si schiude su un’ampia spiaggia bagnata da un mare cristallino. «Ci siamo!», urlano all’unisono i ragazzi, che corrono a catapultarsi in acqua.

Una piccola leggenda

Robertsport è la mecca africana del surf e viene considerata dagli esperti tra le migliori località al mondo per praticare questo sport. Il motivo? Gode di una posizione privilegiata: sorge su un promontorio che si protende nell’Oceano Atlantico, il che permette di sfruttare correnti di diverse direzioni e intensità. Durante la stagione delle piogge, da aprile a settembre, i venti costanti alzano onde da brivido, alte fino a cinque metri. In queste acque riscaldate dal sole dei tropici è nata la leggenda del primo surfista liberiano: Alfred Lomax.

In piena guerra civile, mentre i gruppi ribelli si contendevano il territorio a colpi di machete e kalashnikov, il piccolo Alfred vagabondava per le strade di Monrovia in cerca di cibo. Un giorno, mentre rovistava in un container saccheggiato, trovò una tavola da surf. Probabilmente era appartenuta a un occidentale fuggito dal Paese. Il bambino prelevò la tavola e se la portò nel suo villaggio natale, Robertsport, dove iniziò da autodidatta a cavalcare le onde. I vecchi pescatori all’inizio pensavano che fosse un piccolo mago: chi avrebbe altrimenti potuto restare in equilibrio sui flutti dell’acqua? Eppure, a ben guardare, l’audacia di quel ragazzino che sfidava la furia dell’Atlantico era un segno rivoluzionario, simbolo di anelata libertà, fonte di ispirazione per tanti suoi coetanei.

Decine di ragazzi cominciarono a emularne le gesta. Nacque un movimento che incarnava la voglia di evasione e le aspirazioni di pace di quella generazione, scampata alle macerie del conflitto. «Eravamo squattrinati, intraprendenti e incoscienti – racconta divertito Armstrong Johnson, un veterano delle onde –. Per scivolare sull’acqua usavamo dei tronchi di legno che rifinivamo con le nostre mani usando pialle, seghe e scalpelli». Un regista statunitense, Nicholai Lidow, nel 2007 girò un documentario, Sliding Liberia, per raccontare i sogni di riscatto di quei giovani cavalieri del mare.

Impresa sociale

La fama di Robertsport attirò una coppia di giovani surfisti californiani, Sean Brody e Daniel Hopkins. I due amici avrebbero dovuto fermarsi sulla costa liberiana per le vacanze estive, ma si innamorarono del posto al punto da decidere di trasferirvisi a vivere. Aprirono un resort sulla spiaggia, importarono un container di tavole e coinvolsero i surfisti liberiani nella realizzazione di un progetto ambizioso: trasformare la passione comune per il surf in una leva per lo sviluppo economico e sociale della comunità locale.

Ben presto il loro Kwepunha Liberian Surf Retreat si riempì di surfisti e visitatori provenienti da ogni parte del mondo, divenendo la principale fonte di lavoro di Robertsport. Decine di giovani vi trovarono un impiego: come guide turistiche, maestri di surf, giardinieri, baristi, cuochi, addetti alle pulizie e così via. Il surf diventò la prima voce nell’economia locale, un tempo monopolizzata dalla pesca di sussistenza. Ed era una vera impresa sociale. Nell’ostello, oltre alle attività sportive e turistiche, venivano organizzati corsi di formazione per bagnini, lezioni di nuoto e fotografia, stage per promuovere l’imprenditorialità femminile, iniziative di studio e conservazione ambientale.

Incubo ebola

Nel 2014 venne fondata la Liberian Surfing Association: il coronamento di un sogno per i ragazzi di Robertsport. Ma il sogno svanì ben presto, sopraffatto da un incubo chiamato ebola. In pochi mesi l’epidemia fece sprofondare l’intero Paese nel baratro: le cronache di quei tempi aggiornavano in continuazione il bollettino dei morti, e raccontavano il panico per il contagio, le scuole chiuse, le industrie ferme, gli ospedali al collasso, schiere di occidentali in fuga. Anche Sean e Daniel fecero le valigie e se ne tornarono in California. A Robertsport restarono i giovani surfisti, con le loro tavole. «Abbiamo passato momenti terribili, in assoluta solitudine, e anche oggi che l’emergenza sanitaria è passata dobbiamo fare i conti con i tanti problemi lasciati in eredità dall’epidemia di ebola», fa sapere Elijah, che nel 2013 era diventato campione liberiano di freestyle. «L’economia del Paese è collassata, le casse dello Stato sono vuote, i cantieri sono fermi, le infrastrutture vanno a pezzi. La strada costiera che collega la nostra cittadina a Monrovia quando piove diventa una pista impraticabile. I prezzi dei beni di prima necessità sono balzati alle stelle. I turisti stentano a tornare perché hanno ancora paura. Fatichiamo a tirare avanti. Si sopravvive grazie alla pesca. Ma è davvero dura…».

Il peggio è passato

Malgrado la crisi che colpisce ogni famiglia, Elijah e i suoi compagni hanno deciso di portare avanti le attività della Liberian Surfing Association. Accanto a loro c’è ancora Alfred Lomax, il patriarca dei surfisti liberiani. Che pubblica tweet dai toni epici: «La sorte ha voluto che sopravvivessimo alla guerra e alla mattanza di ebola: niente può fermarci».

Qui, più che altrove, il surf risponde a un disperato bisogno di evasione, di rivincita e di speranza. È quasi una preghiera. «Il peggio sembra passato – azzarda fiducioso Benjamin Mc Crumada ­. Nei fine settimana qualche straniero ricomincia a farsi vedere all’ostello. Per il momento si tratta di cooperanti e volontari che lavorano a Monrovia. Ma presto potrebbero tornare anche i turisti e noi stiamo preparandoci ad accoglierli nel migliore dei modi». Alcuni volontari dell’associazione, armati di sacchi e rastrelli, si danno da fare per ripulire l’arenile dai rifiuti di plastica, altri si occupano di riparare le tavole danneggiate, altri ancora sono impegnati ad affrescare le pareti della scuola di surf.

Al tramonto, l’appuntamento per tutti è sulla spiaggia: i giovani di Robertsport non hanno smesso di cavalcare il mare e ora che la burrasca si è allontanata, hanno voglia di tornare sulla cresta dell’onda.

(Valentina G. Milani – foto di Marco Garofalo)

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