Kibogo, il Gesù del Ruanda

di claudia
Scholastique Mukasonga

di Stefania Ragusa

Avevamo conosciuto – letterariamente parlando – l’autrice di questo libro dieci anni fa, quando la casa editrice 66th&2nd aveva pubblicato il suo romanzo intitolato La signora del Nilo, un testo apparentemente semplice ma sorretto da una robusta impalcatura che permetteva al lettore di comprendere, almeno un po’ di più, la dinamica aggrovigliata che avrebbe reso possibile il genocidio ruandese del 1994. Ora Scholastique Mukasonga (nella foto) è ritornata nelle librerie italiane con una storia ancora più avvincente. Al centro di Kibogo è salito in cielo (Utopia, 2022, 176 pp., euro 18), c’è ancora il Ruanda, nazione in cui Mukasonga, di etnia tutsi, è nata nel 1956 e dalla quale è stata costretta a fuggire nel 1973, riparando prima in Burundi e poi in Francia.

La vicenda narrata ha luogo negli anni ’40. I missionari cattolici presenti sul territorio ruandese sono impegnati in una sistematica opera di proselitismo e rimozione delle religioni indigene. Ma tra le leggende locali ce n’è una che presenta dei singolari punti di contatto con la narrazione dei Vangeli: è la storia di Kibogo, figlio del re, che riportò sulla terra la pioggia, salvando gli uomini dalla siccità, e poi ascese al cielo per ricongiungersi al padre. Le figure di Cristo e Kibogo si intrecciano, si sovrappongono, si contrappongono dando vita a una sorta di culto sincretico che i missionari faticano a maneggiare ma che rivela al lettore le imposizioni contraddittorie e paradossali del colonialismo.

Mukasonga conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, di essere una scrittrice di grande talento. Non per niente è stata candidata al premio Nobel per la letteratura. In attesa che tutte le sue opere vengano tradotte in italiano – come annunciato da Utopia – consigliamo recuperare La nostra signora del Nilo nell’edizione di 66th&2nd e, perché no, di vedere il film che il regista Atiq Rahimi ha realizzato a partire da questo romanzo, venendo premiato con il Crystal Bear alla Berlinale 2020.

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