Inquinamento da plastica? La risposta del Kenya

di Valentina Milani

Il 5 giugno è ufficialmente entrato in vigore, in Kenya, il divieto di introdurre e utilizzare bottiglie di plastica, oltre ad ogni oggetto di plastica di uso singolo, in tutti i parchi, le riserve, le foreste e le spiagge del Paese.

Una decisione che, approvata e annunciata lo sorso anno dal Presidente Uhuru Kenyatta e resa effettiva proprio in questi giorni, fa seguito a un’altra iniziativa del Kenya, risalente al 2017: il divieto a livello nazionale di produrre sacchetti di plastica monouso. Per “oggetti di plastica di uso singolo” si intendono, oltre a bottiglie e bottigliette, qualsiasi contenitore di plastica come vaschette, bicchieri, coppette, posate oltre a cannucce ed ogni tipo di borsa di plastica.

«La conservazione del nostro ambiente è legata al nostro benessere e a quello delle generazioni future. Questo divieto è importante per affrontare la catastrofe dell’inquinamento che il Kenya e il mondo stanno affrontando, e speriamo che catalizzi politiche e azioni simili da parte delle comunità dell’Africa orientale», ha detto Najib Balala, a capo del Segretariato per il Turismo e la fauna selvatica.

La plastica è uno degli inquinanti peggiori e di conseguenza una delle minacce più gravi per la salute del pianeta. I prodotti in plastica monouso stanno infatti inquinando la maggior parte degli ecosistemi, dalle foreste pluviali agli oceani. E, ora, ad aggravare la situazione, vi sono le migliaia di mascherine che, spesso, vengono purtroppo gettate a terra come se fossero facilmente smaltibili in modi naturale.
Entro il 2050, le Nazioni Unite stimano che nell’oceano ci sarà più plastica che pesci, a meno che i governi e il settore privato non promuovano una progettazione, una produzione, un uso e una gestione più efficiente delle risorse della plastica.

A partire dagli anni Cinquanta sono stati prodotti sul nostro pianeta 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Ogni anno, almeno 8 milioni di tonnellate finiscono in ecosistemi fragili, come gli oceani, dove, ad oggi, si stima che via siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica. In alcuni Paesi africani lo smaltimento di questo materiale è estremamente difficoltoso, a causa dell’assenza di infrastrutture adeguate e della mancanza di una cultura di gestione dei rifiuti. In città come Douala, capitale economica del Camerun, vengono prodotte, ogni anno, 600.000 tonnellate di rifiuti in plastica che si riversano nei corsi d’acqua che attraversano la città. Il risultato? Veri e propri fiumi di plastica dal devastante impatto ambientale.

Fortunatamente altri Paesi, come Tanzania, Rwanda (che in questo è stato il capofila) ed Eritrea sono in linea col Kenya nel vietare la produzione, il commercio e l’introduzione almeno dei sacchetti di plastica. Inoltre non mancano iniziative di riciclo di questo resistente materiale che, pian piano, stanno prendendo sempre più piede in diversi Stati. In Camerun, per esempio, nell’indifferenza generale, un giovane camerunese ha preso in mano la situazione. Si tratta del ventottenne Ismael Essome Ebone che, laureato in ingegneria, da qualche anno porta avanti un progetto di riciclo davvero originale: costruire canoe con le bottiglie di plastica riciclate nel tentativo di innescare un processo virtuoso. Raccolte nei fiumi dal team della Madiba&Nature, l’ONG fondata dal ragazzo, le bottiglie vengono assemblate con dello spago in un garage. Lì, ogni mese, prendono vita nuove piroghe che i giovani ecologisti trasportano in diverse località disseminate lungo la costa e lungo i fiumi per regalarle ai pescatori che non possono permettersi imbarcazioni in legno. Piccoli ma concreti gesti che, se venissero presi a esempio, potrebbero davvero fare la differenza.

(Testo e foto di Valentina Giulia Milani)

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