Il bambino promesso, di Massimo Bavastro

di AFRICA

I racconti di adozioni non difettano tra i libri. E sono probabilmente le madri a scriverne con più frequenza. Questa volta è un padre, e lo fa, oltre che con grande sincerità, anche con mestiere sicuro. Bavastro è al suo primo “romanzo”, ma ha alle spalle una carriera di scrittura teatrale e televisiva, cosa che forse lo aiuta a evitare il ripiegamento sulla propria vicenda famigliare, la quale s’intreccia così con le vicende di altre coppie in situazione analoga (ma ciascuna è una storia diversa) e, soprattutto, con l’ambiente di Nairobi in cui dover vivere quasi nove mesi per potersi portare a casa, con tutti i crismi della legge, il piccolo Tommy.

Nel libro s’intersecano piani diversi: la personale “conversione” dell’autore alla paternità adottiva, una scelta nata per iniziativa della moglie e che arriva a coinvolgerlo affettivamente solo con tempi lunghi, in particolare grazie al comportamento spontaneo del primo figlio (frutto di fecondazione assistita) con il nuovo fratellino; la vicenda, in molti casi snervante, della sua famigliola tenuta sotto osservazione, «dentro la bolla di una vacanza lunghissima», prima che possa dimostrare di “meritarsi” l’adozione; uno sguardo sul mondo delle adozioni internazionali (e l’associazione Ai.Bi. ne esce molto bene); il giallo della ricostruzione dell’abbandono in orfanotrofio del piccolo kikuyu, che si risolverà solo a due giorni dal ritorno in Italia; gli intermezzi dei safari, per immergersi nella «preponderanza della natura»…

E, sempre, c’è Nairobi, che l’autore osserva con crudo realismo, senza nulla risparmiare al lettore delle sue perplessità, irritazioni, rabbie. Come il fatto che, se c’è un bianco di mezzo, anche quando non fisicamente presente, prezzi e fregature salgono alle stelle (vedasi la vicenda del Pajero di seconda mano da lui acquistato, che, quando infine esce dall’officina, è solo per scoprire che è stato saccheggiato dei pezzi originali). Ma, e ancor più, la percezione di un ambiente sociale – quello urbano, «il posto dove la gente che esce dalla tribù viene a perdersi – senza solidarietà, dove anche i fondatori di orfanotrofi possono essere furfanti più che santi e occorre pagare, e salato, anche per riavere un cadavere.

Al momento di ripartire, alla moglie Barbara che gli chiede «Tu cosa ti sei portato dal Kenya?», «A parte Tommy – è la risposta –, niente. Non ci siamo portati via niente». Un finale di soggiorno keniano amaro, fino agli snervanti e umilianti controlli doganali.

Nel libro l’amarezza è miscelata all’ironia, anche con momenti umoristici. Ma c’è una continua insopportazione – e come non condividerla? – per come i più poveri, non unicamente a livello economico ma di «incapacità di organizzarsi la vita», rimangono sempre tagliati fuori. E si scopre che, negli orfanotrofi, il «sostegno a distanza» è più gradito delle adozioni “vere”. Perché genera maggiori introiti…

Nutrimenti, 2017, pp. 348, € 19,00

(Pier Maria Mazzola)

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