Etiopia: guerra in Tigray, la società civile in piazza per la pace

di claudia

Tre organizzazioni della società civile etiope legate al mondo femminile hanno organizzato ieri ad Addis Abeba, capitale del Paese, una marcia per la pace. Un’iniziativa che si aggiunge ai rari, ma crescenti, appelli di associazioni che chiedono la fine della guerra civile e una risoluzione pacifica del conflitto con la regione tigrina.

La marcia di ieri è stata ideata e organizzata dalla Rete delle Associazioni delle Donne Etiopi (Newa), dalla Rete dell’Iniziativa Strategica per le Donne nel Corno d’Africa (Siha) e da Timran. Le donne hanno marciato nella capitale portando striscioni con messaggi di pace, promuovendo il ruolo delle donne nella pace, oltre a condannare gli stupri legati alla guerra e le aggressioni sessuali contro le donne. Alcuni dei messaggi negli striscioni recitavano: “Nessun disaccordo ha mai trovato una soluzione attraverso la guerra”, “Il corpo delle donne non è un campo di battaglia” e “La guerra non è uno strumento di sviluppo ma di morte, fame, migrazione e distruzione”.

Questa è la seconda richiesta di pace in Etiopia, dopo che un gruppo di 35 Ong locali ha reso nota una dichiarazione il 7 settembre chiedendo la cessazione delle ostilità, il ripristino della fornitura di servizi di base nel Tigray e in altre aree colpite dal conflitto, indagini e responsabilità per i crimini di guerra commessi e la fine della violenza e della discriminazione su base etnica in varie parti del paese, tra le altre.

La scorsa settimana, la Ethiopian Teachers Association e la Ethiopian Civil Societies Organization Coalition (Ecsoc) hanno chiesto la fine dell’escalation e un immediato ritorno alla cessazione delle ostilità dopo la ripresa dei combattimenti tra le forze di difesa federali e le milizie il 24 agosto. L’associazione degli insegnanti ha affermato che “la guerra non avrebbe portato nulla in Etiopia se non povertà e spaccature generazionali”, mentre la Ethiopian Civil Societies Organization Coalition ha avvertito che il conflitto “potrebbe avere conseguenze enormi per i civili, in particolare le fasce vulnerabili della popolazione, vale a dire bambini, disabili, anziani e donne in le zone colpite”.

La ripresa delle ostilità è stata condannata anche dalla Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc), da diversi Paesi e istituzioni e dai loro leader tra cui Stati Uniti, Turchia, Nazioni Unite e Unione africana. Tutti hanno espresso preoccupazione in merito alla situazione e hanno sottolineato la necessità della ripresa dei colloqui di pace. Nonostante gli appelli diffusi, tuttavia, la guerra è continuata sullo sfondo dell’assenza di rapporti verificabili in modo indipendente.

Il ministero degli Affari esteri etiope con una nota ha espresso “sgomento” per la dichiarazione della Commissione internazionale di esperti in materia di diritti umani sull’Etiopia resa nota il 7 settembre. “La Commissione non ha competenza adeguata sul conflitto innescato dal Tplf (Fronte popolare di liberazione del Tigray) in violazione della tregua umanitaria”, ha affermato questa mattina il ministero in una dichiarazione. La Commissione, è scritto nella nota, non può “arrogarsi il mandato di pronunciarsi su questioni che minacciano la pace e la sicurezza”. Secondo il ministero le decisioni della Commissione “sono motivate ​​politicamente”, la Commissione “ha impugnato i diritti umani per la pressione politica e ha esposto le sue vere intenzioni, precludendo tutte le porte alla cooperazione con il governo”. Pur respingendo la dichiarazione della Commissione, il ministero ha ribadito l’impegno del governo etiope a continuare “a rispettare e garantire il rispetto dei diritti umani e ad assicurare i trasgressori alla giustizia”.

La Commissione internazionale di esperti in materia di diritti umani sull’Etiopia ha espresso “profonda preoccupazione per la ripresa delle ostilità tra il governo etiope e il Fronte popolare di liberazione del Tigray”. Gli esperti hanno denunciato la presenza di truppe eritree sul teatro delle operazioni militari. Ciò potrebbe portare  il conflitto ad estendersi ad altri Stati. La Commissione ribadisce il suo ha invitato “tutte le parti a cessare immediatamente le ostilità, a rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e a riprendere il processo di dialogo”.

Alla luce della minaccia alla pace e alla sicurezza nella regione, è scritto nella nota, “la Commissione accoglie con favore la decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu di discutere con urgenza la situazione in Etiopia. Invita inoltre il Consiglio ad adottare, ai sensi della Carta, le azioni necessarie per garantire la protezione dei civili e prevenire un’escalation che potrebbe destabilizzare ulteriormente la regione. Data la gravità della situazione, la Commissione esorta il Consiglio a mantenere la situazione in Etiopia e nel Corno in cima alla sua agenda”.

La guerra in Tigray è scoppiata nel novembre 2020. Si è trattato dell’esplosione di tensioni che covavano da anni in Etiopia. Il Tplf, che rappresenta l’etnia tigrina (circa il 7% della popolazione del Paese), ha governato dagli anni Novanta la nazione utilizzando il pugno di ferro. Con l’avvento al potere del premier Abiy Ahmed, di origine oromo, i tigrini sono sempre più stati emarginati. Ciò li ha portati a scontrarsi con il governo. Fino allo scoppio del conflitto. Una guerra che ha visto diversi capovolgimenti di fronte, migliaia di vittime e milioni di sfollati. I combattimenti infatti hanno interessato oltre che il Tigray anche le vicine regioni dell’Amhara e dell’Afar. Il conflitto ha causato migliaia di vittime e di sfollati. Secondo gli ultimi dati Onu dello scorso gennaio, sono oltre 9,5 milioni le persone che necessitano di assistenza umanitaria nelle tre regioni. In primavera aveva destato nuove speranze di pace un cessate-il-fuoco delle parti che aveva portato a una sospensione dei combattimenti.

Governo e leadership del Tigray si sono accusate a vicenda di aver ripreso le ostilità il 24 agosto, violando la tregua umanitaria in atto dal marzo scorso. A inizio settembre, il Tplf ha accusato anche l’Eritrea di essere coinvolta, al fianco di Addis Abeba, in una “massiccia offensiva” nel nord-ovest del Tigray. E ancora oggi, il portavoce del Tplf, Getachew Reda, ha è tornato a denunciare su Twitter che “le forze eritree hanno assunto posizioni offensive sui fronti di Rama, Tserona, Zalambessa e Dallol” e “hanno bombardato la periferia di Adigrat tutto il giorno”.

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