Elezioni in Benin, risultati scontati. Calma dopo le proteste

di Enrico Casale
benin manifestazioni

Dopo due giorni di violenze post-elettorali, la calma è tornata a Cotonou (Benin), nello specifico nel distretto di Cadjéhoun, dove si trova la residenza dell’ex presidente Boni Yayi. I militari e la polizia rimangono dispiegati agli incroci strategici. Al momento non sono stati comunicati dati ufficiali a seguito di questi incidenti. Secondo l’opposizione sarebbero almeno sette i morti. Venerdì 3 maggio, la giustizia ha arrestato anche una trentina di leader delle manifestazioni. Saranno giudicati il ​​28 maggio.

In questo contesto, si moltiplicano le richieste di calma, a cominciare da quella della Chiesa cattolica. La Conferenza episcopale del Benin condanna la violenza, deplora le vittime e propone la sua mediazione. I diplomatici francesi ed europei sollecitano gli attori politici beninesi a frenare le violenze e chiedono loro di mettere in atto un dialogo pacifico.

L’ex primo ministro Lionel Zinsou del Benin ha scritto che «il Paese può e deve riconquistare la sua vocazione alla pace e alla legge». Anche l’opposizione si è espressa e denuncia un indurimento del potere. Lo storico oppositore Nouréni Atchadé ha chiesto che si apra un dialogo nazionale cui partecipino esponenti dell’intera classe politica.

«La polizia ha sparato proiettili vivi – ha detto –. Chiediamo che venga fatta luce su questi omicidi. Il presidente Patrice Talon dovrebbe capire e cogliere il messaggio popolare, cancellare le elezioni e discutere con la classe politica per trovare modi e mezzi per superare la crisi che non onora il nostro Paese».

Secondo il parlamentare Orden Alladatin, membro dell’Unione progressista, va dato agli investigatori il tempo di svolgere il loro lavoro. E soprattutto, dice il parlamentare, dare un’occhiata più da vicino al profilo dei manifestanti.

«Queste bande sono state reclutate – ha dichiarato –. È vandalismo. Erano già a 300 metri dalla presidenza della Repubblica. È stato fatto del vandalismo».

Ieri a tarda sera, la Corte costituzionale ha annunciato i risultati. Il tasso di partecipazione è stato molto basso: 27,1% secondo Joseph Djogbénou, uno degli uomini forti della presidenza, contro il 23% annunciato mercoledì dalla Commissione elettorale nei risultati preliminari. Anche rivista al rialzo, è la cifra più bassa nella storia di questo Paese nell’Africa occidentale, spesso presentato come un modello di democrazia. A titolo di confronto, nel 2015, il sondaggio legislativo aveva mobilitato il 66% dei votanti.

Il 45% dei deputati è stato rieletto. L’Unione progressista vince 47 seggi in Parlamento, 36 vanno al Blocco repubblicano. Sei ministri dell’attuale governo sono riusciti a essere eletti.

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