di Beatrice Donzella – Centro studi AMIStaDeS
Tra Maiduguri e Cabo Delgado, la propaganda online recluta giovani vulnerabili attraverso identità promettenti e paura diffusa. Ma in mezzo alle ombre digitali, giovani nigeriani e mozambicani rispondono con arte, parole e comunità: un’altra narrazione è in corso.
A Maiduguri, nel nord-est della Nigeria, un ragazzo scorre lo schermo del suo smartphone. Tra video musicali e clip comiche compare un messaggio che promette giustizia, fratellanza, appartenenza. È il linguaggio di gruppi armati di ispirazione che si richiamano a un immaginario religioso, confezionato per intercettare giovani in cerca di un futuro diverso. Migliaia di chilometri più a sud-est, nella provincia di Cabo Delgado in Mozambico, uno studio dell’Instituto de Estudos Sociais e Económicos (IESE) documenta che i messaggi vocali anonimi su WhatsApp circolano per diffondere panico. La guerra non si combatte solo con le armi, ma anche con le parole, i meme e i gruppi broadcast. Come sottolineano Bonate e colleghi in uno studio pubblicato su Kronos, il conflitto riguarda anche il controllo delle narrazioni digitali e sociali.
I social media hanno cambiato il volto della violenza armata e della comunicazione politica nei conflitti locali. Telegram, WhatsApp e Facebook sono diventati strumenti quotidiani di reclutamento e intimidazione, e i giovani, per la loro forte presenza su queste piattaforme, risultano particolarmente esposti. Un rapporto dell’Institute for Justice and Reconciliation mostra come la combinazione tra insicurezza economica e assenza di servizi amplifichi la vulnerabilità dei giovani mozambicani alla narrativa militante. I video diffusi da reti armate nel nord della Nigeria, come Boko Haram, rappresentano giovani combattenti come eroi, mentre i messaggi vocali che circolano a Cabo Delgado alimentano la paura in villaggi già segnati dalla violenza.

Come ricordano Baele e Boyd, la propaganda non si limita a un appello religioso: offre identità, protezione e senso di comunità. In contesti segnati da disoccupazione, marginalizzazione e trauma, questa retorica diventa un rifugio psicologico.
Anche ricerche internazionali nel campo della comunicazione digitale confermano che la propaganda online esplora dimensioni psicologiche e comportamentali molto specifiche, sfruttando le emozioni, per rendere i messaggi più attraenti e convincenti. Per esempio, diversi studi come quello di Heidarysafa e quello di Kursuncu e colleghi mostrano che la radicalizzazione digitale può avvenire “un messaggio alla volta”, con ogni contenuto progettato per attivare fragilità individuali e collettive.
“La propaganda crea un senso di appartenenza immediata per giovani che si sentono invisibili”, spiega la psicologa nigeriana Fatima Akilu, fondatrice della Neem Foundation. Da anni lavora con ex membri e vittime dell’insurrezione, dimostrando come il trauma, l’isolamento e il bisogno di riconoscimento diventino leve efficaci per chi recluta. La forza della propaganda, aggiunge, non risiede solo nei messaggi, ma nei vuoti lasciati dallo Stato. È in questi spazi, tra promesse politiche e realtà quotidiana, che le narrazioni violente si insinuano, trasformando frustrazione in rabbia e rabbia in adesione.
Ma il digitale non è solo terreno di conquista. È anche uno spazio di resistenza. In Nigeria, giovani artisti e poeti trasformano la frustrazione in musica, parole e performance che rilanciano appartenenza e non violenza. In Mozambico, il programma Youth Hub del CDD Moçambique ha formato attivisti locali che propongono contro-narrazioni basate su coesione, arte e comunità.

Una valutazione condotta nella zona di Montepuez dalla Global Initiative ha mostrato come la resilienza comunitaria, costruita su cultura e dialogo, contrasti l’attrattiva dei gruppi armati. In Nigeria, reti come il Borno Youths Peace Initiative promuovono laboratori di storytelling in cui i giovani trasformano il trauma in racconto condiviso. Piattaforme digitali come HumAngle Media raccolgono testimonianze che restituiscono dignità alle comunità colpite. In Mozambico, radio comunitarie come Rádio Sem Fronteiras coinvolgono i giovani in programmi partecipativi che smontano la paura e rafforzano il senso di appartenenza. Le stesse tecnologie che diffondono paura possono dunque diventare strumenti di creatività collettiva e cambiamento positivo.
A Maiduguri, il ragazzo spegne lo smartphone. I messaggi violenti sono ancora lì, a portata di clic, ma non sono più gli unici a parlargli. Sempre più voci di attivisti, artisti e comunità stanno costruendo un’altra narrazione: non più giovani vittime, ma protagonisti di una nuova resilienza digitale e comunitaria. Le narrazioni restano contese, ma nel rumore dei conflitti digitali, la voce dei giovani africani sta diventando la più forte. In un panorama segnato da attori diversi, religiosi, sociali e comunitari, la loro capacità di costruire nuove forme di coesione rappresenta una delle risposte più autentiche alla complessità del presente.



