Centrafrica, si riaccende la violenza

di Enrico Casale
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centrafricaYaoundé – «Ho perso il mio fratellino. Una pallottola lo ha colpito alla testa. Spero almeno di riuscire a mandare qualche soldo a casa perché possano organizzare il funerale», sono le parole di William, addetto dell’ambasciata della Repubblica centrafricana a Yaoundé (Camerun). Quando parla sembra non esprimere il minimo sentimento, quasi fosse abituato a soffrire. Ma in verità il suo animo si sta contorcendo, sapendo che non potrà tornare a Bangui, sua città di origine, dove in questi ultimi giorni è riscoppiata la violenza, quasi a riaprire le ferite che sembravano potersi curare con l’arrivo delle elezioni previste per questo mese.

Dopo le violenze di Bambari (20 morti) dello scorso agosto, ora il bilancio delle rivolte che hanno avuto inizio il 26 settembre a Bangui è di 40 vittime. I feriti ammontano a più di 200 e cosa ancor più preoccupante è il numero sempre crescente di rifugiati nella sola capitale (per non parlare di quelli fuggiti in Congo, Camerun e Ciad). Ancora 30mila persone, fra il 26 settembre e i primi giorni di ottobre, si sono rifugiate vicino all’aeroporto internazionale «Mpoko» di Bangui, facendo salire esponenzialmente il numero di sfollati a più di 60mila. Il coprifuoco è entrato subito in vigore e la paura è tornata minacciosa per le vie della capitale. Saccheggi, rivolte e barricate sono state le reazioni degli insorti dopo l’uccisione di un conducente di un taximoto musulmano proveniente dal PK-5 (quartiere epicentro dei massacri fra il 2013 e il 2014).

La Minusca, il contingente dei caschi blu già al centro dell’attenzione per gli scandali sessuali accaduti nei mesi precedenti, sembra non riuscire più a controllare la situazione, così come i militari dell’esercito francese.

Il popolo centrafricano, come William, è ormai troppo abituato a soffrire. Anni e anni di violenze, guerre civili e instabilità politica hanno tormentato questo piccolo stato dell’Africa centrale. La Rca è un «failed state» (Stato fallito).

Questa volta però le vittime non sono state solamente locali. Anche gli stranieri (soprattutto volontari delle Ong), costretti a evacuare in maniera rapida la capitale e il Paese, sono stati presi di mira violentemente. Alcuni hanno dichiarato che il tragitto più pericoloso era quello dalla propria abitazione all’aeroporto. La crisi umanitaria è dunque imminente: i blocchi stradali all’uscita della capitale e fra i vari quartieri (divisi religiosamente), rendono impossibile l’arrivo di rifornimenti e aiuti immediati e quindi l’assistenza alle persone traumatizzate come il primo soccorso.

Catherine Samba-Panza, Presidentessa della transizione che dovrebbe portare il Paese alle urne entro la fine del 2015 (il primo turno sarebbe previsto per il 18 ottobre e il secondo per il 22 novembre), è rientrata d’urgenza da New York per rimanere vicino al paese. Il Governo, che sembrava avere già molti problemi a organizzare elezioni in condizioni «normali», si ritrova ora confrontato a una situazione ingestibile, che probabilmente farà slittare l’appuntamento, veramente troppo atteso da una popolazione che non vede pace da ormai troppo tempo.
Filippo Rossi

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