Algeria – Marocco: dietro le quinte del frozen conflict

di Celine Camoin

Rapporti diplomatici da decenni molto problematici e una tensione di fondo incentrata sulla questione del Sahara Occidentale caratterizzano i rapporti fra i governi di Rabat e Algeri. Il braccio di ferro si articola però in diversi ambiti, da quello politico e geopolitico, ad aspetti economici e securitari che caratterizzano quella che da tempo viene definito un conflitto congelato (‘frozen conflict’) ma che periodicamente subisce un inasprimento per via della mancanza di iniziative concrete per risolvere il nodo centrale del Sahara Occidentale.

La rottura delle relazioni diplomatiche da parte di Algeri, annunciata il 24 agosto dal ministro degli Esteri Ramtane Lamamra, rappresenta quindi l’ennesima escalation di tensioni fra le due potenze regionali, ma è presto per parlare di conflitto ed è probabile che questa iniziativa di Algeri miri più a riportare l’attenzione internazionale sulla questione che una vera e propria rottura politico-militare con Rabat.

Le tensioni sono aumentate nel corso degli ultimi anni, in particolare dal 2019, dopo un periodo precedente di tentativi di distensione diplomatica, e sono oggi venute a galla principalmente per via del riconoscimento unilaterale della sovranità marocchina sul territorio del Sahara Occidentale da parte dell’amministrazione Usa di Donald Trump a dicembre 2020. Tale riconoscimento, approvato da Washington in cambio della ripresa dei rapporti diplomatici tra Rabat e Tel Aviv, e recentemente confermato anche dall’Amministrazione Biden, ha scatenato profonde preoccupazioni ad Algeri, principalmente per via del crescente isolamento dell’Algeria nella regione e l’accrescere dell’influenza regionale ed internazionale di Rabat. Sullo sfondo, infatti, oltre alla questione del Sahara Occidentale, è in corso una macro competizione tra Algeri e Rabat che si basa da un lato su aspetti economici e di interscambio con l’Europa e l’Occidente, ma anche su questioni geopolitiche regionali e l’accrescere di un’alleanza tra Marocco ed Emirati Arabi Uniti, insieme ad Israele, che destra ulteriori preoccupazioni per Algeri. Sebbene sono ad oggi chiuse le ambasciate, e congelate le relazioni diplomatiche, rimangono aperti i consolati, segno che comunque rimangono aperti alcuni ponti e non si è passati subito ad una rottura completa.

“Non si era arrivati al punto di rottura delle relazioni dal 1988, ma i confini terrestri fra i due Paesi sono chiusi dal 1994”, ricorda, in un’intervista ad AfricaRivista/InfoAfrica, Andrea Dessì, responsabile del programma Politica estera dell’Italia, nonché responsabile di ricerca nell’ambito del programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dell’Istituto Affari Internazionali (Iai). “Un piccolo spiraglio di speranza era nato circa cinque anni fa con l’idea della ripresa di dialogo sulla questione del Sahara Occidentale, e tentativi di riaprire i confini terrestri, ma alla fine non si è arrivati a nulla e così è continuato lo status quo. Anche i tentativi di Stati Uniti e Europa non sono andati a buon fine, portando quindi allo stallo del processo diplomatico Onu sul Sahara Occidentale. Va detto, infatti, che da parte Statunitense e Europea sono anni che viene meno l’interesse sul Sahara Occidentale, questione importante per gli interessi Europei ma sul quale poco è stato fatto di concreto negli ultimi anni, specialmente da quando sono scoppiate le cosiddette primavere arabe del 2011.

La continuazione delle tensioni tra Algeri e Rabat, e quindi del ‘frozen conflict’ tra questi paesi, crea una situazione molto complicata nel Maghreb occidentale, impedendo a questi paesi di sviluppare rapporti economici e di integrazione che potrebbero portare molti benefici alle rispettive popolazioni, nonché all’intera area del Nord Africa e il Sahel e anche agli interessi Europei. L’Europa vorrebbe rilanciare la cooperazione tra paesi Nord Africani, soprattutto in ambito della sicurezza, per la lotta al terrorismo, al contrabbando, al traffico di persone e rilanciare lo sviluppo economico, ma la tensioni tra Algeria e Marocco hanno da tempo impedito tale coordinamento e integrazione regionale”.

Al contrario, restano intransigenti le posizioni sulla questione del Sahara Occidentale, che Rabat considera suo territorio, mentre Algeri appoggia il Fronte Polisario facendo leva sulla questione per avere un certo tipo di influenza sulle questioni marocchine. Nel novembre 2020, poco prima del riconoscimento Usa, il Fronte Polisario ha annunciato la fine del cessate il fuoco con Rabat, promettendo la riprese della lotta armata. Sullo sfondo, c’è “la competizione geostrategica fra due regimi con vedute molto diverse, e la gara a chi avrà un ruolo più influente in ambito di interscambio con l’Europa, specialmente ora che l’Europa è interessata a sviluppare nuove catene di distribuzione industriale-economica in zone limitrofe all’Unione Europea, con il Nord Africa che spunta come area di principale interesse”.

Dietro le quinte delle tensioni bilaterali, in vista della crescente influenza marocchina in politica estera, vediamo un orientamento verso un ‘fait accompli’ che accetta la posizione marocchina, in particolare dopo il riconoscimento unilaterale di Trump. Questo preoccupa molto Algeri, che vede nella questione del Sahara Occidentale una delle uniche leve rimaste per contrastare l’ascesa di Rabat. Allo stesso modo, Rabat è accusata da Algeri di sostenere gruppi indipendentistici e/o di autonomia all’interno del territorio algerino, in particolare tra le comunità Berbere della Cabilia.

Negli ultimi anni però è il Marocco che ha visto migliorare la propria posizione. Rabat, infatti, ha messo in atto nell’ultimo decennio una vera e propria rivoluzione nella propria politica estera. “Abbiamo assistito a una svolta nelle relazioni con Paesi africani, che in passato erano schierati a favore della causa sahrawi. Rabat ha ottenuto una serie di riconoscimenti molto importanti sulla questione del Sahara Occidentale da parte di questi Paesi, ma anche da parte di importanti attori Arabi del Golfo Persico, a cominciare dagli Emirati Arabi Uniti”.  

A favorire, indirettamente, il successo di questo ‘African turn’ di Rabat, è stata la perdita di influenza dell’Algeria, alle prese con un declino graduale dell’economica, con ripetuti scandali di corruzione, alla leadership di un presidente Bouteflika anziano e malato, e allo scoppio del movimento di protesta dell’Hirak nel 2019, che ha portato all’estromissione dello stesso presidente. “Tutte problematiche interne che hanno distolto l’attenzione di Algeri dalle questioni regionali, minando l’influenza regionale”. Intanto, il Marocco è tornato membro dell’Unione Africana e ha acquisito fiducia in sé stesso, mettendo in atto politiche più rischiose e proattive. “Lo abbiamo visto qualche mese fa con il passaggio a Ceuta di miglia a di migranti dal Marocco, una ripicca di Rabat al fatto che la Spagna aveva accolto il leader del Polisario per cure mediche”, ricorda lo specialista dello Iai. Vediamo dunque un Marocco più atto a lanciarsi in iniziative decise e propenso a un attivismo più espansivo, forte di questo nuovo sostegno politico e diplomatico e dell’crescente isolamento di Algeri. Rabat però deve fare attenzione, il ricatto migratorio è un azione rischiosa e anche controproducente, ma comunque dimostra questa ascesa del Marocco in politica estera, secondo l’analista.

Ma non c’entra solo la questione africana. “La questione araba del Golfo è, secondo me, una questione centrale in tutta questa situazione”, ritiene Dessì. “L’Algeria è fortemente preoccupata dall’ascesa dell’influenza emiratina e saudita in Nord-Africa. In particolare, preoccupano le posizioni emiratine ma anche egiziane nei confronti della Libia – altro Paese strategicamente importante per l’Algeria – e il crescente riconoscimento di quest’ultimi per la posizione marocchina sul Sahara Occidentale. Algeri si vede sempre più circondata da Paesi allineati con gli Emirati, con Israele”. Anche guardando alla Tunisia, la presa di potere da parte del presidente è stata sostenuta dagli Emirati, a dimostrazione della crescente influenza dei Paesi arabi del Golfo nella regione. Una simile questione è in atto anche nel Sudan”.  

Quanto alla recente visita del ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid lo scorso 11 e 12 agosto in Marocco, ha dato sfogo ad aspre critiche algerine, in chiave filo-palestinese. “Il tutto sembra mirato a distogliere l’attenzione interna algerina dalle profonde criticità politiche e socio-economiche, con l’uso del vecchio tassello del sostegno per i palestinesi”, osserva Dessì. Che non manca di far notare come il riavvicinamento fra Rabat e Israele, interrotto dal 2000, rafforza il sostegno per le posizioni di Rabat, anche in ambito dei rapporti con gli Usa, come si è visto con Trump e Biden. Vi è anche la questione dell’Unione Africana, con il Marocco che appoggia l’entrata di Israele come osservatore non permanente, mentre Algeri si sta attivando tramite la sua sfera di influenza per bloccare tale iniziativa, sempre in solidarietà con i palestinesi ma anche come modo per contrastare l’ascesa diplomatica di Rabat.

Se un conflitto armato tra Algeria e Marocco è molto improbabile, c’è da auspicarsi che la decisione di Algeri di interrompere i rapporti diplomatici con Rabat derivi più da un tentativo di riportare l’attenzione internazionale sulla vicenda che un reale inasprimento delle tensioni di lunga durata. Sembra infatti che l’interruzione dei rapporti rappresenti un ultimo tentativo di Algeri, chiaramente ad oggi in una posizione di debolezza nei confronti del Marocco, di riportare l’attenzione su questo ‘frozen conflict’ nella speranza che il rischio di ulteriori escalation porteranno la comunità internazionale, a cominciare dall’Europa, a riprendere in mano la questione del processo Onu e dei negoziati tra le parti. Manca infatti un mediatore serio e influente, tassello centrale per qualsiasi tentativo di distensione, o risoluzione, della questione del Sahara Occidentale.  “Se così non sarà, continuerà questa tensione nel mezzo del Mediterraneo, che combinata con la crisi in Libia, crea una situazione volatile e difficile da gestire in tutta l’area”, ritiene Dessì. Per l’Europa, non potrà che portare ulteriori preoccupazioni sul fronte della migrazione, dell’interscambio energetico e la ripresa economica, aspetto fondamentale per consentire qualche forma di stabilizzazione della regione Nord Africana.

“Preoccupa – secondo l’intervistato – la mancanza di presa di posizione chiara o pubblica dell’Unione Europea su quello che sta succedendo nel Sahara Occidentale e le crescenti tensioni tra Rabat e Algeri. Si va verso un cambio di posizione rispetto al passato sulla questione del Sahara Occidentale, e se sì, su quale base? Quali ripercussioni potrebbe avere sui rapporti e sulla regione? E se l’Europa decide di non difendere più certi principi cardine del sistema internazionale – a cominciare dalla legge internazionale e il processo Onu -, sarà molto difficile poi criticare altri Paesi come la Cina, la Russia, o perfino Israele, che non li rispettano, prediligendo invece azioni unilaterali che si basano semplicemente sui rapporti di forza”.

Ed è forse proprio questo l’intento della carta che ha appena giocato Algeri. Smuovere la comunità internazionale e costringerla a esprimere una posizione, cercando allo stesso tempo di riemergere sullo scacchiere internazionale. In secondo luogo, sventolare la questione israelo-palestinese per distogliere l’attenzione dai fallimenti interni, ad ultimo anche dei recenti devastanti incendi, che hanno causato ben 90 morti, e che Algeri ha imputato a gruppi sostenuti da Rabat senza però dare prove. Oltre a questo vi è anche l’accusa nei confronti del Marocco di aver utilizzato il software israeliano Pegasus per spiare sulle autorità algerine, ulteriore esempio di come le tensioni tra diverse assi geopolitiche nella regione del Mediterraneo allargato siano divenute sempre più intrecciate, aumentando il rischio di scontri e tensioni intra-regionali e internazionali, nonché dell’isolamento di Algeri che continua nella sua tradizionale politica di non-intervento e non-allineamento ma che si trova sempre più sotto pressione e schiacciata tra due assi: quella che vede Emirati, Israele e Arabia Saudita da un lato e Turchia e Qatar dall’altro. In questo ambito sarà sempre più difficile per Algeri mantenere una posizione indipendente e autonoma, ed è questo che preoccupa la leadership algerina, già alle prese con profonde crisi di legittimità interna.

(Céline Camoin)

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