Se l’Africa invecchia

di claudia

di Federico Monica

Oltre il 40% della popolazione africana ha meno di 15 anni, mentre solo il 5% supera i 65. Ma quest’ultima fascia è destinata a quadruplicare entro i prossimi trent’anni. Con quali conseguenze?

Bomba, esplosione, boom: quando si parla di demografia in Africa le parole assumono toni forti, presi dal lessico militare, per descrivere l’apparentemente inarrestabile crescita di popolazione che caratterizza il continente. Una crescita in netta controtendenza rispetto a gran parte del pianeta e principalmente ai Paesi occidentali.

Seppur costantemente in calo, i tassi di fertilità superano ampiamente i quattro figli per donna, con punte di oltre sei in Paesi come il Niger o la Somalia; non a caso le previsioni delineano un raddoppio della popolazione del continente nei prossimi trent’anni, quando potrà essere raggiunto il traguardo di 2,5 miliardi di abitanti.

Fin qui nulla di nuovo, ma gli stessi documenti che confermano questi trend, primi fra tutti i report triennali del dipartimento per gli Affari economici e sociali dell’Onu, raccontano anche un altro lato della medaglia: oltre a essere il continente più giovane del pianeta l’Africa è anche quello che invecchia con più rapidità.

L’aspettativa di vita aumenta stabilmente da decenni, passata da 44 anni nel 1970 ai 63 di oggi; allo stesso tempo stanno invecchiando le generazioni nate durante i boom demografici degli anni Sessanta e Settanta.

A questo dato va aggiunto il declino consistente dei tassi di fertilità, che restano di gran lunga i più alti al mondo ma che vanno riducendosi sempre più e, se è vero che oggi oltre il 40% della popolazione ha meno di 15 anni mentre solo il 5% supera i 65, è anche vero che quest’ultima fascia è destinata a quadruplicare entro i prossimi trent’anni, con oltre cento milioni di over 65 nel 2050.

Le cause sono diverse, prima fra tutte il miglioramento dei sistemi sanitari che, seppure cronicamente insufficienti, hanno fatto passi da gigante negli ultimi decenni permettendo l’immunizzazione o la maggiore disponibilità di cure per malattie endemiche o comuni. Un ruolo altrettanto importante è quello dell’accesso a reti idriche più sicure o della maggior scolarizzazione, con conseguente diffusione di una cultura della prevenzione.

Numeri e trend che sembrano ricalcare l’andamento demografico del resto del pianeta e che impongono una serie di interrogativi sulla capacità futura delle società africane di adattarsi a una nuova categoria di cittadini con esigenze e necessità molto specifiche.

Innanzitutto in ambito sanitario, assistenziale e previdenziale, con sistemi ancora fragili e spesso senza coperture economiche adeguate, ma anche da un punto di vista infrastrutturale: le città africane, in cui si concentreranno gran parte degli over 65, appaiono oggi quanto di più lontano possa esistere dall’accessibilità e dalla vivibilità per questa categoria di popolazione.

La scarsa capillarità dei servizi di base come acqua, fognature o elettricità può impattare fortemente sulla vita degli anziani, così come le barriere architettoniche e gli ostacoli che, fra marciapiedi sconnessi, buche, strade sterrate e gradini, rendono difficile la vita a chi ha problemi di deambulazione, per non parlare dell’accessibilità di edifici pubblici o privati, tema fino ad oggi completamente trascurato nella progettazione di uffici, servizi o residenze, e che rischia di diventare l’ennesima emergenza da risolvere.

Oltre a questi aspetti economici o tecnici la sfida di un’Africa che invecchia sarà, però, principalmente sociale e culturale: moltissime società del continente si basano risaputamente sulla cura e il rispetto per gli anziani, considerati i depositari della saggezza e della tradizione, ma questo modello virtuoso potrà reggere a un aumento consistente della popolazione in terza età? E soprattutto potrà mantenersi vivo in contesti più impersonali come quelli urbani, dove vengono a mancare le solide reti sociali e solidali del villaggio?

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