Zimbabwe, aria di guerra?

di Enrico Casale
lo Zanu-PF, il partito al governo, accusa gli Stati Uniti di sponsorizzare gruppi di opposizione in Zimbabwe per fomentare il caos

Venti di guerra in Zimbabwe? Secondo il governo, l’opposizione si starebbe procurando armi, grazie al sostegno di una potenza straniera (di cui non viene fatto il nome), per rovesciare il presidente Emmerson Mnangagwa. A lanciare l’accusa è stato il ministro della Sicurezza, Owen Ncube, che lunedì, in una conferenza stampa, nella capitale Harare, ha affermato che le forze dell’ordine hanno registrato «tentativi di portare lo Zimbabwe nel caos».

«Alcuni elementi canaglia tra noi – ha detto il ministro – stanno contrabbandando armi e istituendo i cosiddetti comitati di resistenza democratica che sono, a tutti gli effetti, gruppi di milizie violente. Questi piani sono componenti chiave dell’operazione “Lighthouse”, frutto dell’ingegno di una superpotenza occidentale che cerca di distruggere le basi democratiche dello Zimbabwe, rendere il Paese ingovernabile e giustificare l’intervento straniero. In quanto settore della sicurezza, intraprenderemo azioni concrete per affrontare tali minacce».

Da anni lo Zanu-PF, il partito al governo, accusa gli Stati Uniti di sponsorizzare gruppi di opposizione in Zimbabwe per fomentare il caos. Il mese scorso, il partito ha minacciato di espellere l’ambasciatore statunitense in Zimbabwe, Brian Nichols, descrivendolo come un delinquente.

Le durissime accuse vengono portate in un clima pesante. Nelle settimane scorse c’è stata una dura repressione del dissenso sulla scia delle proteste diffuse contro la corruzione e il deterioramento della situazione economica. Il Paese è in preda a una grave crisi economica. La sua valuta, il dollaro dello Zimbabwe, è praticamente crollata e ora è scambiata a 1:90 contro il dollaro USA. I prezzi delle merci stanno aumentando rapidamente, la produzione e le esportazioni stanno diminuendo e la valuta estera scarseggia. Con una valuta in rapida svalutazione e un’iperinflazione misurate per l’ultima volta a maggio quasi all’800% su base annua, la maggior parte degli zimbabwani ha visto sparire i propri guadagni. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 90%. I professionisti sono stati duramente colpiti dal tracollo economico.

I leader dell’opposizione e gli economisti sostengono che la crisi economica è a un punto di non ritorno, per gli alti livelli di inflazione, la grave compressione dei salari per lavoro, le perdite di reddito e di cambio per le imprese, le persistenti carenze di carburante, la corruzione e l’enorme necessità di aiuti umanitari.

Il principale partito di opposizione, l’Mdc, nega però qualsiasi azione armata e anche l’intenzione di procurarsi armi. I responsabili affermano di essere sotto l’assedio del governo del presidente Mnangagwa e di subire una durissima repressione. Tendai Biti, vicepresidente dell’Mdc, ha ribattuto al ministro della Sicurezza sostenendo che le accuse sono «un sinistro complotto per reprimere l’opposizione». «Il regime si sta preparando a una dura repressione – ha detto Biti -. Queste sono vecchie tattiche di Mnangagwa».

Il riferimento è agli anni Ottanta quando il futuro presidente Mnangagwa, allora ministro della Sicurezza, annunciò la scoperta di armi da guerra che lui sostenne appartenevano allo Zapu, allora principale formazione dell’opposizione. Questa scoperta giustificò il dispiegamento di unità dell’esercito addestrate dalla Corea del Nord che diedero vita a una feroce repressione che fece 20.000 morti tra i militanti dell’opposizione.

L’Mdc teme che il governo stia tentando un’operazione simile. Il ministro Ncube ha lanciato sottili minacce: «Mentre il governo procede con il suo programma di riforme, sarebbe utile che l’Mdc si trasformasse in un normale partito di opposizione e riconoscesse i risultati delle elezioni del 2018 (che secondo il leader dell’Mdc sarebbero state truccate, ndr)».

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