Sud Sudan, dal sogno all’incubo

di Enrico Casale
sud sudan

sud sudanSono passati quattro anni da quel 9 luglio 2011 quando il Sud Sudan diventò indipendente. Solo quattro anni, ma sembra un secolo. Le speranze di quel giorno sono svanite. La gioia di un popolo è stata ammutolita. La guerra e la distruzione stanno distruggendo il più giovane Stato del mondo.

Eppure quel 9 luglio di quattro anni fa fu un giorno fantastico. Dopo due guerre civili contro il Nord arabo e musulmano, le popolazioni nere cristiane e animiste presero in mano il proprio destino. E lo fecero con un referendum al quale erano stati chiamati per esprimersi sulla loro autodeterminazione. Il risultato non poteva essere più chiaro: l’affluenza ai seggi fu del 96% e il 98,81% degli elettori votò per l’indipendenza. In quel momento, si aprì quindi una stagione nuova.

Certo il Paese era (e rimane) poverissimo. Ha pochissime infrastrutture, il tasso di mortalità materna e di analfabetismo sono tra i più alti al mondo. L’economia si basa fondamentalmente sull’esportazione di legname e sul petrolio. Ma le potenzialità erano (e rimangono) enormi. Il sottosuolo è ricchissimo di ferro, rame, cromo, zinco, tungsteno, argento e oro. La nazione è poi attraversata dal Nilo che garantisce la fertilità dei terreni e la possibilità di avere un’agricoltura ricchissima.

Già nei primi mesi di autonomia iniziano a delinearsi difficoltà. È vero che i giacimenti di petrolio, dopo l’indipendenza, sono rimasti in Sud Sudan, ma Juba non controlla gli oleodotti e, non avendo sbocchi al mare, deve esportare gli idrocarburi verso Port Sudan, controllato da Khartoum. Nascono così le prime tensioni proprio con il Governo del Nord che impone tributi di passaggio molto elevati.

Le tensioni però crescono anche in casa. O, forse, a ben vedere, ci sono sempre stati attriti tra l’etnia maggioritaria dinka e quella minoritaria nuer. Scontri, tradimenti, rivalità serpeggiavano sottotraccia anche durante la guerra contro il Nord. E non potevano non esplodere dopo l’indipendenza. Infatti, nel dicembre del 2013 si verifica un tentato colpo di Stato nel quale le forze leali al presidente Salva Kiir di etnia dinka si scontrano con quelle fedeli all’ex vicepresidente Riech Machar di etnia nuer, esonerato a luglio a causa dei forti contrasti con Kiir. L’accusa al Presidente è di egemonizzare il potere e, con esso, la gestione delle ricchezze nazionali. Lo scontro è durissimo ed è ancora in atto (nonostante alcuni tentativi di trovare un’intesa). Si stima che almeno 50mila persone siano state uccise e quasi due milioni siano dovute fuggire dalle loro case, cercando rifugio in altre regioni o all’estero.

Oggi è difficile dire quale futuro si prepara per il Sud Sudan. Il suo destino sembra incagliato nelle secche di una rivalità storica. E il sogno di un Paese prospero si è trasformato in un incubo.

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