Rd Congo, Ituri e Kivu senza pace. I vescovi lanciano un appello.

di Stefania Ragusa

Da giorni si susseguono attacchi ai villaggi e alla popolazione civile da parte dei miliziani del Codeco nella provincia dell’Ituri. Il network Radio Okapi, riferisce di sei morti certi e di combattimenti in corso ancora fino a ieri in tre villaggi Tolo nel territorio di Djugu.

In questa zona vivono – o meglio sopravvivono circa due milioni di sfollati. Tra loro tantissimi bambini, che non riescono ad avere un adeguato accesso al cibo e alla prevenzione di base. Dieudonné Lossa, coordinatore della società civile nell’Ituri, dice che dall’inizio dell’anno ci sono state oltre cento morti e che i vivi resistono in condizioni subumane. Lossa chiede allo Stato congolese di rivedere la sua politica per aiutare la popolazione dell’Ituri “che vive nella miseria” e per imporre la pace.

Facendo riferimento non alla sola provincia dell’Ituri ma a tutto il lato orientale della Repubblica Democratica del Congo (anche il Nord Kivu, quindi, teatro nei giorni scorsi di una protesta contro la Monusco che è costata la vita a una bambina) anche la Conferenza nazionale dei Vescovi ha lanciato in questi giorni un documento-appello, ribadendo come non sia possibile immaginare un futuro di crescita per il Paese, fino a quando la sua parte orientale sarà stretta nella morsa dei “predatori”.

Le vittime sono state fino ad ora complessivamente migliaia, ricordano i vescovi nel testo: «Più di 6.000 morti a Beni dal 2013 e più di 2.000 a Bunia solo nel 2020. Ci sono anche almeno 3 milioni di sfollati e circa 7.500 persone rapite». A tutto ciò possono essere aggiunti «gli incendi di diverse case e villaggi, la distruzione e la chiusura di scuole e centri sanitari, il saccheggio di edifici amministrativi, il saccheggio di animali, campi e raccolti». Gli autori sono spesso gruppi armati e miliziani, a cui le forze regolari dello stato non sanno o non vogliono rispondere. Anche la Monusco, la missione delle Nazioni Unite sul territorio, «è accusata di passività e perfino di complicità da parte della popolazione. La sua presenza desta sempre più sospetti e scetticismo perché non è riuscita a fermare le stragi».

Il cuore del problema però rimane la distanza abissale tra Kinshasa e questa parte del Paese. Distanza che le settimane trascorse senza governo hanno contribuito ad acuire. Adesso però il primo ministro Jean-Michel Sama Lukonde ha nominato la sua squadra. L’impasse determinata dalla distribuzione delle poltrone tra i membri della coalizione di governo è stata superata. Può essere ragionevole chiedere alla nuova compagine un’azione concreta. In quest’ottica la lettera dei vescovi, pur diramata qualche giorno fa, appare quanto mai attuale.

Per superare questo blocco e cominciare a agire nell’interesse anche del Kivu, i vescovi ritengono necessario «uno sforzo concertato a più livelli», che permetta ai militari di lavorare sentendosi messi nella condizione di farlo, che concretizzi un’azione efficace di disarmo e, soprattutto, che riporti al centro le responsabilità della politica. I vescovi, dal canto loro, continueranno a fare la loro parte, per costruire la pace e riannodare la solidarietà.

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